IL BLOG DI RISCOSSA CRISTIANA

IL DIO DEL POSTCONCILIO



nebbia
di P. Giovanni Cavalcoli, OP



            Una delle questioni teologiche più gravi che sono sorte nel mondo cattolico in questi ultimi decenni del postconcilio è la questione centralissima della teologia: la stessa concezione cattolica di Dio.
            Come è noto infatti il Concilio Vaticano II ha promosso un progresso ed un rinnovamento della teologia da una parte nella fedeltà alla tradizione, ma dall’altra anche aprendosi al dialogo ecumenico ed interreligioso. E’ successo però che la pratica dell’ecumenismo – penso qui adesso in modo particolare con i protestanti – non è sempre stata condotta con quella prudenza e quel discernimento che erano stati prescritti dal Concilio e in particolare dal famoso documento dedicato all’argomento, la Unitatis Redintegratio.
            In particolare il confronto con i fratelli separati sulla grande questione del concetto di Dio e degli attributi divini, soprattutto del Dio cristiano, se da una parte ha registrato delle consolanti e promettenti convergenze, dall’altra è avvenuto in certi casi in un modo sbagliato, nel senso che non sono stati i fratelli separati ad avvicinarsi alla verità cattolica e quindi alla piena comunione ecclesiale, come pure auspica l’Unitatis Redintegratio, ma sono stati certi cattolici a lasciarsi fuorviare, per un malinteso spirito di comunione, da idee errate protestanti circa il concetto di Dio e in particolare i misteri dell’Incarnazione e della Redenzione.
            Il vasto interesse che, sotto la spinta del Concilio, si è destato nella teologia cattolica per le varie correnti protestanti a partire da Lutero sino alle tendenze attuali, ha condotto indubbiamente la teologia cattolica a conoscere meglio le posizioni protestanti, mettendo in maggior luce gli aspetti validi, rimediando a malintesi o sfatando equivoci, col risultato di avvicinare le rispettive posizioni, ma tale interesse si è anche espresso in molti rivoli a volte sterili, nel desiderio di inseguire ognuna delle variegate e spesso contradditorie diramazioni delle teologie che derivano da Lutero.
            Un fenomeno caratteristico dell’eresia è il fatto che l’eretico - in tal caso Lutero – solitamente conserva molto del patrimonio dottrinale cattolico dal quale si è staccato, ma i suoi epigoni, non più alimentati dalla tradizione cattolica e dall’integrità dottrinale che la caratterizza, facilmente si allontanano sempre di più dalle radici cattoliche per lasciarsi influenzare dalle mode e dai gusti dei tempi.
            L’eresia provoca nel sistema teologico una degenerazione, un dissesto ed uno scompaginamento accompagnati da lacune, esagerazioni e contraddizioni, che peggiorano sempre di più per il fatto che i successori dell’eresiarca non traggono più alimento dalle sorgenti dalle quali si sono staccati. I successori dell’eresiarca tendono ad un progressivo riduzionismo del patrimonio di fede sino a farlo scomparire del tutto negli epigoni più lontani ed aumentando sempre di più la presenza dell’errore. Gli storici del pensiero hanno dimostrato come un Marx (educato nel protestantesimo) o un Nietzsche (figlio di un pastore protestante) portano alle estreme conseguenze gli errori di Lutero.
            Ciò è avvenuto in due casi estremamente significativi ed assai famosi, che qui vorrei prendere brevissimamente in esame   : quello di Kant e quello di Hegel, con particolare riferimento all’aspetto cristologico della teologia, ovverosia il dogma cristologico. Questi due grandi filosofi sono in realtà distanti dall’ortodossia luterana, ma non per questo ne hanno perso l’influenza. Anzi, se Kant apparteneva al movimento pietista, Hegel intese esplicitamente costruire il suo sistema filosofico come interpretazione e fondazione razionali della sua fede luterana, sicchè Hegel appare un po’ come il S.Tommaso del luteranesimo.
            Tuttavia non si può negare la distanza della concezione kantiana ed hegeliana di Dio da quella luterana, assai più vicina alla concezione cattolica che non le prime due. Il teismo cristologico luterano è sostanzialmente realista e credente, così come emerge chiaramente dalla Bibbia, anche se già in Lutero, con la sua concezione soggettivistica della coscienza, cominciano ad apparire i segni di quell’immanentismo che sarà estremizzato dall’idealismo trascendentale tedesco.
            Un momento di ulteriore allontanamento dal cristianesimo dopo la vicenda di Lutero avvenne, come è noto, con l’Illuminismo, sviluppo di quel razionalismo idealista di Cartesio, il quale pure si professava cattolico, idealismo che però già i protestanti Leibniz, Wolff e Kant notarono essere in spiccata sintonia con l’egocentrismo luterano.
            E’ da notare inoltre come il razionalismo illuministico è preparato dalla critica biblica demolitrice di Spinoza, Reimarus e Lessing, distruttori della storicità delle narrazioni evangeliche. La trascendenza divina si illanguidisce, la storicità di Cristo svanisce, la ragione pretende di far da padrona su tutto e su tutti, si direbbe su Dio stesso, rifiutando l’autorevolezza della testimonianza storica e la possibilità di una divina rivelazione e quindi il principio stesso della fede religiosa.
            Il Cristo di Kant è sì un nobile personaggio, ma tutto sommato è un semplice maestro di morale, un modello ideale costruito dalla ragion pratica, mentre il Dio di Kant è un “ideale della ragione” col compito di unificare ed organizzare nella sua completezza il sistema del sapere razionale, ma la pretesa di far di Dio un soggetto e una persona ontologicamente esistente è per Kant senza fondamento e tutt’al più da lasciar per buona all’ignoranza della pietà popolare.
            Lo stesso “Dio” postulato dalla ragion pratica, non è un Dio, la cui esistenza sia dimostrata partendo dalle cose, un Dio al quale la ragione sia sottomessa, creatore e legislatore della ragione, ma è un Di immanente alla ragione ed al servizio della ragione, avente lo scopo di assicurarle il soddisfacimento del suo bisogno di  completezza e di felicità.
            Concepire la legge morale come espressione della volontà di Dio, per Kant, si può anche fare, ma è una semplice metafora per rappresentare l’assolutezza razionale dell’imperativo categorico. L’atto umano del libero volere non è affatto causato da Dio, ma è fondato su se stesso.
            Con Hegel certo cambia il clima: alla esangue astrattezza della razionalità illuministica succede una nuova razionalità agitata,  emotiva ed immersa sì romanticamente nella storia e nel divenire, ma al contempo ancora più ambiziosa della razionalità kantiana in quanto, se questa rifiutava in nome della ragione una divina rivelazione, la Ragione hegeliana è per sua essenza divina rivelazione.
            I contenuti della teologia, come già per Kant, sono declassati al livello del mito e della metafora, buona per la mentalità corrente e per il “buon senso” incapace di elevarsi sul piano della “filosofia” e del “pensiero speculativo” o del “concetto”. Dunque non più la fede al di sopra della ragione, ma al contrario la fede, come “rappresentazione”(Vorstellung) al di sotto della ragione o del Pensiero (denken), prerogativa del filosofo.
            Curiosa avventura della ragione nella storia del protestantesimo! Da “prostituta del diavolo” in Lutero diventa con Hegel divina rivelazione! La ragione si vendica! La storia del protestantesimo è tutta percorsa da questi fenomeni contradditori, e addirittura teorizzati in Hegel col nome di “dialettica”, un esasperante susseguirsi di tormentosi movimenti pendolari nei quali continuamente si passa da un estremo all’altro. La “mediazione” è la semplice giustapposizione dei contrari, confusi tra di loro, ma non armonizzati.
            E’ triste dover constatare l’influsso che tuttora Kant ed Hegel esercitano sulla nostra cultura: Kant, peraltro privato del suo rigorismo morale, più nel mondo laico, per esempio nella cultura liberale e massonica, mondo apertamente contrario alla possibilità di una rivelazione divina ed all’ammissione della divinità di Cristo (ma il cattolico Schillebeeckx non è lontano da queste posizioni), mentre per converso uno Hegel, che si presenta come interprete del mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, ha incontrato sorprendentemente un grande favore nella cristologia cattolica contaminando col risorgere di eresie precalcedonesi la distinzione delle due nature (divina ed umana) di Cristo e la purezza del concetto della divinità.
            C’è veramente da augurarsi che si riesca a rimediare a questa situazione, che nulla ha a che vedere col vero ecumenismo e con la teologia promossa dal Concilio. Certamente i cattolici non devono avere complessi di superiorità, ma neanche complessi di inferiorità nei confronti dei fratelli protestanti.
            Senza disprezzare i valori contenuti nella storia del protestantesimo, bisogna che i cattolici, sotto la guida dei loro pastori e di buoni teologi ed evangelizzatori (riscossa cristiana!), mostrino a tutti con carità, coraggio e sapienza le ricchezze della concezione cattolica di Dio e di Cristo, nella certezza di operare per il bene dei fratelli separati e di aiutarli ad entrare in piena comunione con la Chiesa Cattolica, nella quale solo esiste la pienezza della divina rivelazione e di quella libertà e comunione nello Spirito Santo che Cristo ha voluto per la sua Chiesa.



                                                                                 
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