IL BLOG DI RISCOSSA CRISTIANA

IL PAPA AL SINODO PER IL MEDIO ORIENTE


 
di P.Giovanni Cavalcoli, OP



            Il Papa, come sappiamo, ha recentemente presenziato al Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente ed ha pronunciato un discorso di altissima levatura teologica ricordando i grandi misteri cristiani dell’Incarnazione e della Maternità divina di Maria, immagine della Chiesa, la “Donna” apocalittica in lotta per tutto il corso della storia col “Drago rosso”, simbolo delle potenze del male, le quali saranno sconfitte alla parusìa di Cristo.
            Un discorso di evidente tonalità ecumenica, data la presenza nel territorio suddetto di molti Fratelli ortodossi, con i quali noi cattolici condividiamo appunto questi misteri fondamentali della fede cristiana ed attorno ai quali misteri oggi più che mai tutti i cristiani devono stringersi, in particolare nel Medio Oriente, dove tutti sanno quanto è difficile il confronto sia col mondo ebraico che con quello islamico.
            Il discorso, di straordinaria ricchezza e profondità, richiederebbe un commento, la cui ampiezza indubbiamente non può essere contenuta nello spazio di questo breve articolo. Mi limito tuttavia a commentare solo alcuni punti di grande importanza, anche perché le espressioni che usa il Papa potrebbero essere male interpretate da chi, come certe correnti moderniste, vorrebbero tirare il Papa dalla loro. Viceversa i discorsi del Papa, che ama giustamente usare un linguaggio moderno (ma non modernista), vanno tuttavia sempre interpretati alla luce della Tradizione cattolica. E così farò per l’occasione.
            Parlando della maternità della Madonna, il Papa si chiede: “Come potrebbe una persona umana essere Madre di Dio, dell'Eterno?”. E risponde: “Dio non è rimasto in sé: è uscito da sé, si è unito talmente, così radicalmente con quest'uomo, Gesù, che quest'uomo Gesù è Dio”.
            E’ evidente, come sempre la teologia ha saputo, che Maria non può essere madre della divinità di Cristo, cosa assurda, perché Dio, causa prima increata  non può  avere una “madre”, ma Maria è Madre di un uomo che è Dio. In tal senso la chiamiamo “Madre di Dio”, usando cioè una certa trasposizione di predicati riferiti alla stessa Persona di Cristo, trasposizione che tradizionalmente si chiama “communicatio idiomatum”. E’ questo ciò che Nestorio non aveva capito.
            Che cosa allora è questo “uscire di Dio da sé”? Non si tratta della creazione dell’umanità di Cristo, della quale il Papa parla nel medesimo discorso, ma della generazione eterna del Figlio divino da parte del Padre. Mentre, infatti, secondo il dogma cattolico, la creazione del mondo è l’atto col quale Dio produce il mondo dal nulla (opus Dei ad extra), la generazione eterna è l’atto intradivino, identico a Dio stesso, col quale il Padre genera il Figlio (opus Dei ad intra).
            La Bibbia paragona la creazione all’opera di un artefice, che però produce l’intera opera, senza utilizzare un precedente materiale, come fa l’artefice umano, ma creando anche la materia, cosa che noi non possiamo fare; per cui il mondo, che esce dal nulla grazie all’onnipotenza creatrice divina, non ha natura divina, ma solo una natura limitata e mutevole.
            Invece, per esprimere la generazione del Figlio, la Bibbia ci richiama alla mente il raggio che esce dal sole, della stessa natura del sole. Infatti la Lettera agli Ebrei (1,3) chiama il Figlio “Irradiazione della gloria del Padre”, e Gesù stesso, per designare la sua figliolanza, dice di essere “uscito” dal Padre (Gv 8,42). Per questo ciò che “esce” da Dio, ossia il Figlio, non esce dal nulla come la creatura, ma esce da Dio e quindi non può che essere di natura divina: Deum de Deo, come diciamo nel Credo.
            Viceversa i modernisti, che confondono con Hegel la creazione dell’uomo con la generazione del Figlio di Dio, divinizzano indebitamente l’uomo fomentandone la superbia, e provocando nella condotta morale ogni sorta di aberrazione e disobbedienza a Dio.
            Il Papa poi si sofferma sul significato dell’Incarnazione del Figlio, partendo dalla visione teologica di Aristotele: “La filosofia aristotelica, lo sappiamo bene, ci dice che tra Dio e l'uomo esiste solo una relazione non reciproca. L'uomo si riferisce a Dio, ma Dio, l'Eterno, è in sé, non cambia: non può avere oggi questa e domani un'altra relazione. Sta in sé, non ha relazione ad extra. … Con l'Incarnazione, con l'avvenimento della Theotókos, questo è cambiato radicalmente, perché Dio ci ha attirato in se stesso e Dio in se stesso è relazione e ci fa partecipare nella sua relazione interiore”.
             Anche qui occorrono delle spiegazioni, per non opporre troppo Aristotele, alla maniera luterana, alla rivelazione biblica. Anche nella visione biblica Dio è immutabile. Quanto al non avere “relazione ad extra”, ossia nei confronti del mondo, il Pontefice intende riferirsi alla ben nota concezione aristotelica del rapporto di Dio col mondo: il mondo, per lo Stagirita, come per tutto l’antico mondo pagano, non è creato da Dio, ma esiste per conto proprio indipendentemente da Dio, per cui Dio a sua volta, anche se è visto da Aristotele come “motore immobile”, tuttavia non si prende cura del mondo né della salvezza dell’uomo. In questo senso il Dio aristotelico non ha relazioni “ad extra”.
            Viceversa, ci ricorda il Papa, il Dio cristiano, che resta pur sempre il Dio immutabile di Aristotele, e qui dobbiamo opporci alla concezione hegeliano-modernista del Dio che “muta” e “diviene”, è tuttavia un Dio misericordioso. Infatti Dio Padre si prende talmente cura della salvezza dell’uomo, da inviare suo Figlio che si incarna nel seno di Maria, muore sulla croce per noi e ci rende partecipi, mediante la grazia, della vita stessa delle Tre Persone divine, ciascuna delle Quali è Relazione sussistente, come più volte ha detto il Papa, rifacendosi a S.Tommaso d’Aquino e alla dottrina del Concilio di Firenze del 1442.
            Dunque, se è vero che noi abbiamo una relazione reale a Dio, come già in qualche modo aveva capito Aristotele vedendo in Dio il supremo fine dell’uomo, tuttavia il Dio cristiano, in Cristo uomo, si pone anch’egli in una relazione reale con noi, uomo tra gli uomini, anche se resta vero, come fa notare il grande Aquinate, che Dio come tale, ossia la natura divina, non può avere col mondo se non una relazione di ragione, dato che noi dipendiamo da Dio ma Dio non dipende da noi e dire relazione vuol dire dipendenza.
            Spesso i discorsi del Papa hanno bisogno di un’opportuna esegesi. Ma egli stesso ci dice - parafraso quanto ha detto a proposito dell’interpretazione del Concilio Vaticano II - quale tipo di esegesi: non di rottura ma di continuità con la Tradizione, continuità nel progresso. Il Papa infatti, nell’assoluta fedeltà alla Tradizione e proprio perché fedele alla Tradizione, non si limita a ripetere le formule del passato (opera pur sempre utile e necessaria), ma ci  presenta la Tradizione oggi in nuovi sviluppi con un linguaggio adatto all’uomo del nostro tempo. Per esprimerci con le stesse parole del Papa: non una tradizione “congelata”, ma una Tradizione “vivente”.


                                                                                                         
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