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BALCONE DEMOCRATICO CON VISTA SULL'OLIGARCHIA



di Piero Vassallo


Deliziosi e solenni pensieri sulla fecondità delle imprese oligarchiche corrono nell'abituale furore omiletico, che Scalfari indirizza contro Berlusconi (“rappresentante solo se stesso e dei suoi”, ossia della bieca maggioranza italiana),.

Il risorgimento, ad esempio. Scalfari osserva che l'impresa liberal-sabauda è bersaglio di critiche convergenti su un punto: “il risorgimento fu opera di una minoranza e questa è la sua debolezza. Le masse cattoliche, contadine, operaie, furono assenti ed escluse dalle istituzioni”.

La disinvolta penna del guru scrive debolezza anziché devastante errore. E giustifica il ricorso al leggiadro eufemismo sputando una memorabile sentenza: “Come ho già più volte ricordato non è mai esistito nella storia un nuovo potere che sia nato dalla consapevole volontà di vaste masse popolari”.

Nel popolo, l'illuminista Scalfari contempla un popolaccio, la populace di Voltaire. Il popolo bue, una massa acefala, vile e ribelle, dunque bisognosa di ricevere la forma civile dai sapienti radunati nel salotto (boudoir) buono.

Impavido nel fragore della risata prodotta dalle sue sontuose parole, Scalfari prosegue paragonando l'impresa risorgimentale all'azione divina del demiurgo platonico: “La creazione d'un potere nuovo è sempre stato il prodotto d'una minoranza, un risultato demiurgico (sic!) che solo in un secondo momento ha evocato il popolo ed ha inserito nelle istituzioni masse popolari”.

Nel tentativo di sovvertire l'ovvia dottrina, secondo cui l'autorità dei corpi sociali precede l'autorità dello stato, Scalfari versa il sale della teologia platonica sopra l'ideologia oligarchica.

Se non che la filosofia del senso comune attesta che, in origine, l'autorità appartiene al popolo, dunque che il principe agisce in base al potere gli è conferito dal popolo.

Francisco Suarez, un politologo che Scalfari conosce perfettamente, dal momento che ne capovolge la fondamentale tesi, affermava: “Dicendum est potestatem (civilem) ex sola rei natura in nullo singulari homine existere, sed in hominum collectione. Conclusio communis et certa sumitur ex D. Thoma ... principem habere potestatem ferendi leges quam in illum transtulit communitas[1].

La testa di Mazzini, che (secondo Scalfari) quale Minerva generò il movimento d'indipendenza e di unità nazionale, infatti, non fece altro che parassitare, mistificare e falsificare l'autorità dei popoli che costituivano l'Italia cattolica.

Mazzini demiurgo è una stupidaggine a misura dell'albagia senile di Scalfari: il cogitabondo fondatore della Giovine Italia, infatti, non ha creato la coscienza del popolo italiano, l'ha semplicemente ingannata, sventolando la bandiera (vessillo della fellonia, lo definì Gregorio XVI) di una contraffatta religione nazionalista.

Giovanni Gentile, pur essendo affascinato dalle suggestioni mazziniane, ha stabilito che la vera aspirazione all'unità d'Italia si manifestò nei popoli delle insorgenze antigiacobine, insieme con la consapevolezza dell'inefficienza militare degli antichi stati italiani.

L'ammissione gentiliana smentisce la teoria di Scalfari e dimostra che il patriottismo non fu impresso nel popolo bruto dalla mente eletta degli oligarchi.

Ora i popoli insorgenti non desideravano uno stato centralista. Al contrario, la loro ribellione era indirizzata contro quella religione dello stato nazionale che aveva ispirato l'odiosa invasione.

L'unificazione geografica dell'Italia, purtroppo, è stata compiuta da una minoranza posseduta dagli errori del centralismo (errori iscritti nella bandiera giacobina di Reggio Emilia) e perciò sostenuta dai poteri dell'eversione straniera.

La riforma federalista, pertanto, deve collegarsi alla tradizione degli insorgenti, cioè alla più nobile storia dell'Italia moderna.


note:


[1] De legibus ac Deo legislatore, III, (De lege humana et civili, c. 2, In quibus hominibus immediate existat ex natura rei potestas haec condendi leges humanas?)


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