IL BLOG DI RISCOSSA CRISTIANA

BELLE LETTERE E BUONE LETTURE 4 / GUARESCHI PROFETA (IN)DIMENTICATO

di Rita Bettaglio

Albertino, Giovannino, Carlotta


Scrivo di Giovannino Guareschi (GG) con un certo imbarazzo e ritegno, il pudore che si usa per le persone cui si vuole bene.
Di fronte alle numerose polemiche e fraintendimenti di  cui  GG fu fatto segno in vita e oltre, mi sono domandata: “ E’ possibile fraintendere Guareschi?” o, meglio, “E’ possibile per una persona libera ed intellettualmente onesta fraintendere Guareschi?”. La mia risposta, che è la risposta di un comune lettore, è “no”: non è possibile fraintenderlo se la mente di chi legge è stata preventivamente sgombrata da partigianeria, faziosità, spirito di polemica e, non ultima, invidia.
GG ha il pregio che solo pochi scrittori hanno: la chiarezza e la semplicità.
Ma, si sa, quando non si trovano elementi per denigrare, li si crea e il gioco è fatto.
Non a caso qualcuno raccomandò di far circolare insistentemente menzogne, assicurando che, dopo poco, sarebbero apparse ai più come verità.
Ho letto tutto quello che di GG è stato pubblicato e parecchi libri di commentatori ed “esegeti”.
Ricordo tutto e niente perché la prosa di Giovannino ha il raro attributo di lasciare un “sapore” oltre che un “sapere”. Mi ricorda un detto dei Padri del Deserto che lessi tempo fa.
Un monaco, interrogato da un confratello riguardo l’omelia pronunciata quella stessa mattina dall’anziano, rispondeva di averla trovata estremamente istruttiva ma di non ricordarla.
“Com’è possibile?”, chiedeva scandalizzato il confratello.
“Vedi, le parole del padre sono per la mia anima come l’acqua per quest’insalata: la lavano e, poi, scorrono via”
Lo stesso effetto fa la lettura di GG, e questo a motivo della sua levità, che non è leggerezza, e di una straordinaria capacità di comprendere l’uomo e  rappresentarlo con un tratto rapido ed efficace.
“Humanum sum, nihil umani a me alienum puto”. Questo potrebbe essere il motto di Guareschi.
Tutto ciò che concerne l’esperienza umana, esperienza di grandezza e di miseria, di forza nella debolezza e debolezza nell’apparente forza, trova voce nelle parole di Giovannino, che non ha altri “padroni” che “la Signora Coscienza”. A braccetto di tale signora egli non esitò a prendere la via del lager, nel '43, e quella del carcere di Parma undici anni dopo, nel '54.
L'8 settembre '43, infatti, Giovannino si trovava sotto le armi, precisamente ad Alessandria e lì rifiutò di arrendersi ai tedeschi. Il tenente Guareschi prese perciò la via della prigionia nei lager del Terzo Reich, come uno delle migliaia di IMI (Internati Militari Italiani). Divenne l'IMI 6865 e da questa esperienza nacquero tre testi di grande valore: Diario clandestino, La favola di Natale e Ritorno alla base (pubblicato postumo dai figli Alberto e Carlotta). La favola di Natale è una vera perla e meriterebbe di essere letta in tutte le scuole italiane. Il prigioniero Guareschi trascorse 19 mesi nelle mani dei tedeschi e 5 da 'liberato' affidato alle cure degli alleati. Vale la pena leggere uno stralcio delle sue parole:
“Io, insomma, come milioni e milioni di personaggi come me migliori di me e peggiori di me, mi trovai invischiato in questa guerra in qualità di italiano alleato dei tedeschi, all’inizio, e in qualità di italiano prigioniero dei tedeschi alla fine. Gli anglo-americani nel 1943 mi bombardarono la casa, e nel 1945 mi vennero a liberare dalla prigionia e mi regalarono del latte condensato e della minestra in scatola. Per quello che mi riguarda, la storia è tutta qui. Una banalissima storia nella quale io ho avuto il peso di un guscio di nocciola nell’oceano in tempesta, e dalla quale io esco senza nastrini e senza medaglie ma vittorioso perché, nonostante tutto e tutti, io sono riuscito a passare attraverso questo cataclisma senza odiare nessuno. Anzi, sono riuscito a ritrovare un  prezioso amico: me stesso…. Per venire alla mia storia, dirò che io assieme a un sacco d’altri ufficiali come me, mi ritrovai un giorno del settembre 1943 in un campo di concentramento in Polonia, poi cambiai altri campi, ma dappertutto la faccenda era la stessa dei campi di prigionia…. L’unica  cosa interessante, ai fini della nostra storia, è che io, anche in prigionia conservai la mia testardaggine di emiliano della Bassa: e così strinsi i denti e dissi: Non muoio neanche se mi ammazzano!. E non morii. Probabilmente non morii perché non mi ammazzarono: il fatto è che non morii. Rimasi vivo anche nella parte interna e continuai a lavorare….  E così trascorsi buona parte del mio tempo passando da baracca a baracca dove leggevo la roba appunto di cui questo libriccino vi dà un campionario… Non abbiamo vissuto come i bruti. Non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo. La fame la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l’infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti. Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, uomini con un passato e un avvenire…La Patria si affacciava ogni tanto alla siepe di filo spinato, ed era vestita da generale: ma sempre veniva a dirci le solite cose: che il dovere e l'onore e la verità e il giusto erano non nella volontaria prigionia, ma in Italia dove petti di italiani aspettavano le scariche dei nostri fucili. Fummo peggio che abbandonati, ma questo non bastò a renderci dei bruti: con niente ricostruimmo la nostra civiltà. Sorsero i giornali parlati, le conferenze, la chiesa, l'università, il teatro, i concerti, le mostre d'arte, lo sport, l'artigianato, le assemblee regionali, i servizi, la borsa, gli annunci economici, la biblioteca, il centro radio, il commercio, l'industria. Ognuno si trovò improvvisamente nudo: tutto fu lasciato fuori del reticolato: la fama e il grado, bene o male guadagnati. E ognuno si ritrovò soltanto con le cose che aveva dentro. Con la sua effettiva ricchezza o con la sua effettiva povertà. E ognuno diede quello che aveva dentro e che poteva dare, e così nacque un mondo dove ognuno era stimato per quello che valeva e dove ognuno contava per uno. Niente mutò nel Lager: sempre la stessa sabbia, sempre le stesse baracche, sempre la stessa miseria. Ma c'era tutto quello di cui abbisogna un uomo civile per vivere con civiltà in un mondo civile”.
Fece ritorno in un'Italia, che egli, poi, definì in un libro 'Italia provvisoria' che aveva dimenticato i suoi figli e quasi se ne vergognava. Poi venne l'impegno decisivo per le elezioni del 1948, con le famose vignette “Contrordine compagni” e gli immortali slogan, tipo “Nel segreto dell'urna Dio ti vedo, Stalin no” o il soldato disperso in Russia che dice alla madre “votagli contro anche per me”. Quest'ultima vicenda toccava Guareschi da vicino perchè suo fratello fu tra i militari italiani che non fecero ritorno dalla Russia.
L'illusione durò poco, perchè ben presto Giovannino scorse nella vita politica dell'Italia democratica e democristiana i germi della decadenza civile e morale. La sua matita, libera da ogni sorta di compromesso non mancò di denunciarla e presto giunse una prima condanna ad 8 mesi, sospesi con la condizionale, per una vignetta riguardante il presidente Einaudi. Quest'ultimo, presidente della Repubblica dall'11 maggio 1948, era proprietario degli omonimi vigneti in Piemonte ed ebbe la poco brillante idea di mettere in commercio bottiglie con la dicitura 'il Nebiolo del presidente'. Per Guareschi era inammissibile sfruttare la prima carica dello Stato per reclamizzare un prodotto e ne venne fuori una vignetta con due file di bottiglie di nebiolo che facevano da corazzieri al passaggio del presidente. Risultato: una condanna a 8 mesi.
Tre anni dopo un altro processo, questa volta per la pubblicazione di documenti inediti a firma di Alcide De Gasperi, si risolse con la condanna a un anno di reclusione. I documenti consistevano in due lettere su carta intestata della Segreteria di Stato vaticana in cui De Gasperi avrebbe chiesto il bombardamento di Roma. Guareschi fu sempre assolutamente certo dell'autenticità dei documenti ma il processo, intentatogli dal premier, non contemplò neppure una perizia calligrafica e fu condotto in base all'assunto che il querelante, visto il suo alto profilo morale, non poteva mentire. Al querelato, che rifiutò di ricorrere in appello, non restò altro che varcare la soglia del carcere  San Francesco di Parma il 26 maggio 1954. Il 4 luglio 1955, dopo 405 giorni di prigione, GG tornò in libertà vigilata, che finì solo il 26 gennaio 1956. Da quest'esperienza Guareschi uscì assai segnato, soprattutto per l'amarezza che invase il suo animo: fu abbandonato da tutti e giudicato con durezza dalla stampa, in primo luogo quella cattolica. Venne definito 'mediocre', addirittura 'uno scarafaggio' da parte dell'organo ufficiale di stampa dell'Azione Cattolica. La sua salute subì un tracollo e così il suo spirito: furono anni molto difficili, di sofferenza più grande di quella, già grande, subita in prigionia. Perchè allora c'era la speranza di un futuro migliore, ma ora questo futuro si era rivelato meschino e falso. A Giovannino rimaneva la propria terra, la casa di Roncole Verdi, dove nel 1964 aprì un caffè e tanta delusione. Il suo cuore si spense nell'estate 1968, a Cervia.
Egli, col passare delle primavere sulla nostra povera Italia, appare  sempre più un profeta. Non un profeta pagano, un oscuro e apocalittico oracolo, ma uno spirito libero il cui sguardo, fortemente ancorato al presente, conscio del passato, riesce a spingersi lontano, oltre qualunque lusinga.
GG profeta è, come tale, incompreso e ferocemente avversato anche da  una parte del mondo cattolico, sedotto più dal democristianesimo che dal Cristianesimo.
GG incarnò quello che scrisse e scrisse quello incarnò: in lui persona ed opera vanno sempre di pari passo. Così la cultura ufficiale disdegnò il parmigiano in pantaloni di velluto e camicia di flanella e la politica lo castigò duramente, in un crescendo di “trinaricismo” senza pari e ancora più doloroso in quanto proveniente  da ambienti che egli aveva coraggiosamente difeso.
Guareschi fu cristiano cattolico, saldo nella fede quanto forte nella speranza, ma non potè ignorare i cosiddetti “segni dei tempi”, quella crisi dell’uomo contemporaneo che ha radici profonde, oltre le ideologie. E allora egli, che si definiva con orgoglio un “reazionario”, ciò una che reagiva e non poteva non farlo, in nome della propria dignità di uomo, creato ad immagine di Dio, accettò dapprima il Lager e poi la galera della “democratica” repubblica italiana.
“Per rimanere liberi  bisogna a un bel momento prendere senza esitare la via della prigione.”, disse  preparandosi a trascorrere 405 giorni nel carcere di Parma a seguito del caso De Gasperi.
Ad essi seguirono 6 mesi di arresti domiciliari durante i quali ebbe a dire: “il collare mi pesa più delle inferriate”.
“Io bado molto alla mia coscienza. Preferirei essere condannato dalla giustizia e assolto dalla mia coscienza, piuttosto che il contrario”. Siamo nel 1954: “un ottimo anno. Non bisogna badare alle apparenze. C’è carcere e carcere.”.
Varcò la soglia della prigione col consueto sorriso, che celava, però, una profonda sofferenza.
“Quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo nel segreto”(Mt 6,17-18). Fedele fin dai tempi del Lager alla consegna “non muoio neanche se mi ammazzano”, uscì dall’esperienza  giudiziaria e carceraria vivo, ma profondamente segnato.
Questo, e molto altro, fu Giovannino vestito d’aria e di sogni; ma l’aria si era fatta pesante, quasi opprimente.
Improvvisamente, nell’estate del ’68,  il suo cuore cedette: si spense…..per riaccendersi, ne siamo sicuri, in Paradiso, tra la tonaca di Don Camillo e i baffoni di Peppone.


Per la serie BELLE LETTERE E BUONE LETTURE, Rita Bettaglio ha già pubblicato gli articoli sui seguenti Autori (cliccate sul nome per leggere l'articolo)






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