IL BLOG DI RISCOSSA CRISTIANA

IL DISEGNO DI LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI. LA FESTA DELL’IPOCRISIA



di Paolo Deotto





Chi, come il sottoscritto, non è più un giovanotto, probabilmente ricorderà qualcosa leggendo questo elenco di cognomi, peraltro incompleto perché fatto a memoria, un po’ a caso: Agnesina, Reale, Nardone, Zamparelli, Oscuri, Allegra, Calabresi, Scirè, Panvini, D’Onofrio, Greco, Valente… e altri ancora.

Chi erano questi signori? Erano funzionari o sottufficiali di Pubblica Sicurezza (così si chiamava una volta la Polizia di Stato), tutti ottimi investigatori, che negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso assicurarono alla Giustizia innumerevoli malviventi.

Perché apro con questo elenco? Sarà più chiaro se avrete la pazienza di continuare la lettura. Vorrei solo aggiungere una considerazione: tutti questi uomini operavano avendo come armi principali la tenacia, la dedizione al dovere, il coraggio. Le indagini “scientifiche” si limitavano ai rilievi dattiloscopici, del DNA non si conosceva nemmeno l’esistenza. Eppure diedero all’Italia lunghi periodi di tranquillità, usando ogni tanto, come eccezione, anche le intercettazioni telefoniche.

Mi venivano in mente questi grandi detective del passato leggendo le affermazioni a dir poco apocalittiche che stanno accompagnando l’iter del disegno di legge del PdL sulle intercettazioni.

L’ANM e il CSM (che ormai si scambiano allegramente i ruoli) gridano al disastro della Giustizia, i giornalisti parlano di legge “bavaglio”, e sorvoliamo sulle corbellerie di un signor Di Pietro per rispetto ai nostri lettori. La sinistra in genere insorge contro le norme liberticide progettate solo per difendere i malavitosi, tra i quali, è ovvio, arruolano buona parte della maggioranza, con in testa il Presidente Berlusconi.

Insomma, l’esploratore spaziale che oggi atterrasse col suo disco volante in Italia potrebbe pensare seriamente che questo Paese sia sull’orlo dell’abisso, a un passo da un regime che vuole mettere il bavaglio a tutto e a tutti, impedendo la lotta al crimine, che invece, come è noto, è una delle principali preoccupazioni della sinistra, che infatti “educa alla legalità” e ai “valori della Costituzione”.

Forse sarebbe il caso di dire due paroline su questa vera orgia di ipocrisia. Da chi vogliamo partire? Partiamo dai giornalisti. Sul “Giornale” del 25 maggio Marcello Veneziani pubblica un articolo, come sempre molto equilibrato, in cui mette in luce come questo progetto di legge sia reso necessario, principalmente, dagli abusi che si sono consumati con un uso scorretto dello strumento delle intercettazioni. Ma Veneziani tuttavia non riesce a sfuggire a un po’ di vittimismo corporativo, affermando che comunque si tratta di una rinuncia, peraltro necessaria, a un po’ di libertà. Altri giornalisti, di sicuro meno equilibrati di Veneziani, ululano contro il bavaglio, contro la distruzione della professione, e così via. Si direbbe insomma che il compito del giornalista consista, quasi esclusivamente, nella pubblicazione di conversazioni altrui. Sono gli stessi giornalisti che laddove Tizio sia sorpreso in un mare di sangue mentre sta sbudellando la suocera, lo chiameranno sempre rispettosamente “presunto omicida”, perché tutti sono innocenti fino a pronuncia della sentenza definitiva.

Poiché non voglio fare concorrenza ad Aldo, Giovanni e Giacomo, il cui lavoro consiste nel far ridere, e lo sanno fare molto bene, sorvolo sulle accorate richiesta di soccorso per la “libertà di stampa”, sui giornalisti che dicono di “dare fastidio perché informano”. Suvvia, siamo seri. Dov’è la stampa libera in Italia? E se c’è, come mai su certi personaggi ci si accanisce follemente, mentre su altri si da la notizia, possibilmente nelle pagine interne, e poi non se ne parla più? Certo, non voglio generalizzare: giornali e giornalisti seri ci sono, però lasciano qualche legittima perplessità i giornalisti che per mesi e per anni si accaniscono a passare al microscopio la vita privata di Berlusconi, e sorvolano su un Marrazzo che si trastullava con travestiti, oltretutto, pare, usando soldi pubblici. Ma lo stesso si potrebbe dire di un personaggio come Lapo Elkann, al centro di una vicenda che si può definire schifosa, ma che venne messa a tacere con molta fretta. Elkann non è un politico, ma mi pare, forse sbaglio, che abbia qualche parente un po’ potente. E tali signori vogliono ora farci lezione di dirittura morale, di libertà di informazione? E dove va a finire la “presunzione di innocenza fino a condanna definitiva”, che dovrebbe caratterizzare uno Stato di diritto? Ormai i processi non si fanno con le sentenze, ma con gli avvisi di procedimento che, chissà come mai, ad alcuni sono noti in anticipo, ancora prima che arrivino all’indagato. E con i fiumi di intercettazioni, in cui va dentro di tutto, la violazione della legge e la vita privata, magari anche di persone che hanno solo avuto la sfortuna di parlare al telefono con l’indagato. “Sbatti il mostro in prima pagina”. Poi, poco importa se si rovina la vita privata di innocenti, o anche di colpevoli che hanno tutto il diritto di essere giudicati solo per le violazioni di legge, non per i pettegolezzi sulla loro vita privata.

C’è una nota comica in tutto ciò: la frenesia di mettere in piazza tutto e tutti, è ormai diffusa in una società che ha fatto della “privacy” un mito, per cui se alle Poste un impiegato è maleducato potrai fare reclamo solo contro lo sportellista numero X e non contro il signor Tizio. A dimostrazione di quanto viviamo in una società sempre più schizofrenica.

Dispiace peraltro vedere come ormai in Italia il corporativismo deteriorato sia sempre più diffuso, per cui anche direttori di testate serie si accodano ora alle proteste della FNSI, la cui matrice politica è ben nota a tutti.

Sono convinto che i giornalisti farebbero un ottimo servizio a sé stessi e alla libertà di stampa se bandissero dalle loro redazioni il giornalismo cialtrone e cannibale, ossia inteso a vendere pettegolezzi e offese alla persona umana in luogo di notizie. Il minimale realismo non può tacere che il giornalismo cialtrone, il giornalismo alla ricerca del facile successo, vuole conquistare la vasta platea dei lettori e dei chiacchieroni da bar e da trivio.

Dispiace invece vedere che il ddl, che prevede sanzioni per chi pubblica, giornalisti ed editori, notizie riservate e riguardanti persone non indagate, non preveda una pena specifica, ben più grave, per i magistrati che hanno l’obbligo di vigilare sulle “fughe di notizie”. Ci sono Procure che sono colabrodi, con destinatari sempre monotonamente uguali. Ma il magistrato in Italia ormai si considera come il “princeps”, ossia “legibus solutus”. Del resto, in caso di errore troppo marchiano da non poter essere insabbiato, sarà sempre giudicato da colleghi…

La magistratura italiana ha scoperto lo strumento delle intercettazioni e non intende rinunciarvi. Dal 2003 al 2008 (dati del ministero della Giustizia) le intercettazioni sono raddoppiate, arrivando nel 2008 alla bellezza di 137.086 “bersagli” intercettati, di cui 124.326 con intercettazione telefonica. Il resto riguarda intercettazioni ambientali (microspie, ecc., con 10.894 intercettazioni), e altri. Il tutto, con un costo per lo Stato superiore ai 250 milioni di euro. Insomma, ogni mille italiani (compresi vecchietti, bimbi, malati ecc.), 2,37 sono stati intercettati e ascoltati.

Certo, i magistrati vanno anche capiti quando protestano. Per nulla addestrati all’indagine criminale hanno trovato nell’intercettazione la quadratura del cerchio. Che poi si creino così valanghe di informazioni spesso inutili, dannose per l’onorabilità di persone innocenti, difficili da tenere sotto controllo, tutto ciò sembra non preoccupare troppo i nostri solerti custodi della Giustizia. Dicevo e ripeto: per nulla addestrati all’indagine criminale. In Italia si è voluto spogliare la Polizia di ogni iniziativa in campo investigativo, e ora se ne pagano le conseguenze.

Come ha ricordato di recente il Capo della Polizia, Manganelli, la riforma del codice di procedura penale del 1989 ha tolto agli organi di Polizia ogni iniziativa su indagini, fermo e interrogatori di testimoni. Da allora, queste cose possono avvenire solo su mandato del magistrato. Il prefetto Manganelli di indagini si intende. Con Franco Gabrielli, già a capo del Sisde, ha scritto un libro dal titolo chiarissimo: “Indagare”. E, da conoscitore, dice che l’aumento di intercettazioni è da attribuire anche alla riduzione dei poteri agli agenti.

L’intento dichiarato della riforma del 1989 era di dare maggiori garanzie agli indagati e ai testimoni: un magistrato – si riteneva – garantisce che la polizia non agisca in modo arbitrario. Ma, mentre un poliziotto o un carabiniere sanno che i loro abusi, se scoperti, saranno severamente puniti, poche sono le garanzie nei confronti di eccessi perpetrati da un magistrato.

È inverosimile che un poliziotto li denunci e, quanto alla punizione, conosciamo l’indulgenza del Csm nei confronti delle toghe che sbagliano. Per non parlare poi di quando, anziché di eccessi nelle indagini, si tratta di inerzia nelle indagini.

In realtà, le forze di polizia hanno finito per trovarsi con le mani legate, deresponsabilizzate e demotivate. Tre cose estremamente negative, specialmente quest’ultima, per chi svolge un compito così delicato. Cento agenti determinati e motivati, dotati di possibilità di iniziativa sono più efficaci di cinquemila che si limitano a svolgere burocraticamente le pratiche. Sarebbe una riforma a costo zero e ad alto rendimento per la sicurezza dei cittadini.

E queste considerazioni ci portano inevitabilmente a farne altre: la separazione delle carriere in Magistratura è quanto mai urgente. Oggi un magistrato addetto fino al giorno prima alla Sezione Fallimentare, può trovarsi domani trasferito alla Procura della Repubblica, esercitando poteri per i quali non è preparato, né tecnicamente, né psicologicamente. Con i risultati che abbiamo sotto gi occhi. Personaggi come un De Magistris (che ora, per fortuna, fa danni al Parlamento Europeo anziché farne in Italia), da magistrato avviò numerose inchieste, con gran seguito di articoli ei interviste, e non una di queste portò a un giudizio.

Ecco perché ricordavamo in apertura i nomi di quei famosi investigatori del passato: erano poliziotti, tecnici delle indagini, con anni di conoscenza della malavita. E per i baldi difensori della “legalità repubblicana” della Costituzione, eccetera, ricordiamo che i poteri di iniziativa che aveva una volta la Polizia (interrogatori di testi e indiziati, fermo per un massimo di 48 ore) erano tutti per loro natura provvisori, sempre soggetti al vaglio del magistrato per essere confermati. E previsti dalla tanto idolatrata Costituzione

Ora procuratori giovani, freschi di laurea, si improvvisano investigatori. E allora, quale strumento più comodo delle intercettazioni? Ma sì, intercettiamo tutti e tutto, qualcosa salterà pur sempre fuori…

Certo, se volessi essere proprio maligno potrei pensare che il caos sulle intercettazioni può sempre far comodo a quanti vogliono mantenere ben saldo il potere di diffamare, o anche di ricattare, personaggi intercettati. Ma tutti sanno che io non sono maligno e che da buon italiano proclamo a ogni piè sospinto la mia assoluta fiducia nella Magistratura, la mia fedeltà alla Costituzione, la grande stima che ho per il Presidente (sia ben chiaro, della Repubblica, non del Consiglio…), e poi non ricordo bene che altro. Ma ho il “Manuale del perfetto conformista”, e poi lo rileggerò.

Da ultimo, alla sinistra che ribolle di democratico sdegno per l’orribile attentato alla Costituzione che Berlusconi sta tramando, sarà bene ricordare che durante il governo Prodi fu approvato alla Camera, con ampia maggioranza, un ddl presentato dall’allora ministro della Giustizia, Mastella, che prevedeva limiti (e relative sanzioni) alle intercettazioni ben più severi rispetto a quelli previsti dal ddl del centro destra. Alla faccia del signor Mancino, vicepresidente a vita del CSM, che ha detto che il precedente disegno di legge “non era condivisibile in tutte le sue parti, ma era meno tosto rispetto all’attuale”. Vergogna, signor Mancino, non sta bene dire le bugie…

La legge Mastella non approdò mai al Senato perché il governo Prodi andò a pezzi poco dopo. Ma intanto quella normativa aveva ricevuto l’approvazione anche dei pensosi tutori della Costituzione e della legalità repubblicana.

In definitiva. Sarebbe bello e istruttivo se finisse quest’orgia di ipocrisia che sta coinvolgendo un po’ tutti, giornalisti, magistrati, politici. E, per finire con un sorriso, riportiamo lo “sdegno” manifestato dalla signora Finocchiaro perché qualche cattivone di destra ha ricordato il famoso film “Le vite degli altri”, paragonando l’ansia intercettatoria della sinistra alle attività della famigerata Stasi, la polizia politica della Germania Est. Ma come si può, dice la Finocchiaro, mischiare il nostro onorato nome a quello di dittature del passato?

Già, come si può? Basta guardare la storia politica dei nostri sinistri…

Vuoi scrivere un commento su questo articolo? Clicca qui

Vuoi tornare a RISCOSSA CRISTIANA – home? Clicca qui