IL BLOG DI RISCOSSA CRISTIANA

CONTRIBUTO PER UN CORRETTO IMPEGNO CONTRO LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA


di Filippo Giorgianni





Tema ricorrente sui media durante il viaggio in Sicilia del Pontefice regnante Benedetto XVI è stato quello della legalità, che è stato anche da taluni collegato al bene comune e al messaggio cristiano. È bene dunque chiedersi quale rapporto corra tra cristianesimo e legalità, quale rapporto ci sia tra quest’ultima, la legalità, e il bene comune, e infine quale debba essere l’azione sociale dei cattolici per il bene comune. In effetti c’è sempre il rischio, quando si parla della società nel suo complesso – e la legalità è tema certamente sociale – c’è il rischio, si diceva, di ridurre il cristianesimo a una sorta di corso di buone maniere, un’educazione civica, svuotata del riferimento cristiano più profondo e più efficace e svuotando il bene comune della sua reale e vasta portata. Per evitare che si cada nell’errore di ideologizzare il rispetto della legge come spesso accade anche nelle parrocchie, è bene specificare innanzitutto che il termine legalità potrebbe essere inteso nel senso di rispetto della legge vigente. In questo senso il cristiano però non è sempre vincolato alla legalità, in quanto la legge cosiddetta positiva, cioè la legge degli uomini vigente in un determinato momento, può anche contrastare con la legge morale naturale che è il modello di ogni legge civile[1], e tale legge positiva può contrastare inoltre anche con la morale della Rivelazione trasmessaci dal Magistero della Chiesa Cattolica. In questi casi di contrasto, la Chiesa, riprendendo l’ampio Magistero in tema di obiezione di coscienza, svincola da qualunque obbedienza verso questa legalità, verso la legge positiva: «Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica. “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”»[2]. E però dalla Rivoluzione francese del 1789 in poi, ma con degli antefatti già nel pensiero precedente e nel fenomeno dell’assolutismo degli Stati moderni, si è assistito all’elaborazione di un pensiero che ha voluto entrare in contrasto con l’impostazione della Chiesa, e questo pensiero ha voluto vedere nella legalità, nella legge positiva o vigente, una legge assoluta. È questo il cosiddetto positivismo: la pretesa cioè che la legge vigente sia giusta sempre e comunque, senza che essa possa essere valutata e contestata con il metro di un diritto naturale, insito nella natura stessa dell’uomo, nel suo cuore. Questa pretesa positivista è frutto di quel processo di secolarizzazione o scristianizzazione che ha interessato la società negli ultimi cinque secoli e che è stato descritto da un paio di secoli a questa parte dal Magistero della Chiesa, ad esempio con il Venerabile Pio XII, con il Venerabile Giovanni Paolo II Magno e anche con Sua Santità Benedetto XVI, processo che è stato inoltre analizzato dalla scuola contro-rivoluzionaria[3], a partire da svariati autori ottocenteschi, fino a giungere a molti altri più recenti, tra cui Plinio Corrêa de Oliveira[4] e Francisco Elías de Tejada y Spinola[5]. In effetti, seguendo lo schema tracciato dal Magistero e da questi autori, possiamo notare come questa deriva positivista sia ben presente nelle varie tappe progressive della scristianizzazione. L’ottica legalista o positivista ha infatti le sue radici nella Rivoluzione francese, ma poi si ritrova per tutti i secoli successivi nel socialcomunismo, nonché nelle ideologie del ‘900, e anche ultimamente nella deriva morale esplosa negli ultimi decenni dopo il ’68, deriva che pretende di innalzare a diritto ogni desiderio, lecito e molto più spesso illecito, dell’uomo. Ed è utile ricordare, tra l’altro, che questa fasulla identificazione tra diritto e desiderio, che dimentica per di più i necessari e corrispettivi doveri, è indicata con viva preoccupazione anche da Papa Benedetto XVI nella sua recente lettera enciclica Caritas in veritate[6], laddove denuncia la rivendicazione del «diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio», di «presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario», aggiungendo che invece «i diritti presuppongono doveri senza i quali si trasformano in arbitrio» in quanto «i diritti individuali, svincolati da un quadro di doveri che conferisca loro un senso compiuto, impazziscono e alimentano una spirale di richieste praticamente illimitata e priva di criteri. L’esasperazione dei diritti sfocia nella dimenticanza dei doveri». La legalità, intesa come legge vigente, può quindi anche essere la rivendicazione e la positivizzazione, cioè il riconoscimento, senza sosta di quei desideri-diritti illegittimi ed è proprio questo il rischio insito nel termine legalità, cioè appunto che esso sia espressione di quest’ottica positivista, anticristiana o secolarizzata del diritto, un rischio che può ben essere presente anche all’interno di quelle parrocchie dove non si dia ai parrocchiani un’adeguata formazione ed informazione sul reale significato del termine legalità, lasciando così il pericolo che i cattolici, quando pensino e parlino di legalità, intendano dire che il cattolico è sempre obbligato al rispetto di ogni legge vigente, anche quando opposta al diritto naturale e alle indicazioni del Magistero della Chiesa. Invece la legge e quindi la legalità così intesa non può essere aperta a qualunque contenuto, ma deve avere come punto di riferimento il bene morale della comunità.
Fatte queste necessarie puntualizzazioni, è da notare che legalità può però voler dire anche rispetto dell’ordine pubblico, della sicurezza, messi in pericolo da fenomeni quali la criminalità organizzata; ed è chiaro che la legalità, in questo significato, certamente debba essere rispettata dal cattolico. Il vero problema, la vera confusione sorge però quando si relaziona il tutto al bene comune e al ruolo che i cattolici debbano avere nei riguardi del contrasto di quella piaga sociale che è la mafia. Quindi è importante leggere la definizione di bene comune: esso è «“l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”»[7]. A ciò si aggiunga che «In primo luogo, il bene comune suppone il rispetto della persona in quanto tale. In nome del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana. La società ha il dovere di permettere a ciascuno dei suoi membri di realizzare la propria vocazione. In particolare, il bene comune consiste nelle condizioni d'esercizio delle libertà naturali che sono indispensabili al pieno sviluppo della vocazione umana: tali il diritto “alla possibilità di agire secondo il retto dettato della propria coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso”.
In secondo luogo, il bene comune richiede il benessere sociale e lo sviluppo del gruppo stesso. Lo sviluppo è la sintesi di tutti i doveri sociali. […]
Il bene comune implica infine la pace, cioè la stabilità e la sicurezza di un ordine giusto. Suppone quindi che l'autorità garantisca, con mezzi onesti, la sicurezza della società e quella dei suoi membri. Esso fonda il diritto alla legittima difesa personale e collettiva»[8].
Il bene comune racchiude dunque in sé anche quella legalità di cui si parla con riferimento alle mafie, ma il termine legalità rimane pur sempre ambiguo e comunque esso non è un concetto cardine del bene comune, il quale si fonda semmai sul concetto di giustizia, cioè sull’unicuique suum, il principio secondo il quale dare a ciascuno ciò che gli è dovuto. Ebbene, i cattolici è giusto che si impegnino anche nell’ambito dell’ordine pubblico, compatibilmente con le proprie specifiche vocazioni. Tanto più che in questo campo entrano in gioco due Comandamenti, due precetti di diritto naturale: “non uccidere”, come ricordato anche energicamente dal Venerabile Giovanni Paolo II Magno ad Agrigento il 9 maggio 1993[9], e “non rubare”, entrambi negati dall’attività della criminalità organizzata. Tuttavia l’impegno per il bene comune non si restringe alla legalità, non si conclude con l’impegno personale e la lotta dell’autorità civile alla criminalità organizzata, non si riduce alla sicurezza, all’ordine pubblico, all’integrità meramente fisica dell’uomo e alla difesa dei suoi beni di proprietà. Il bene comune non è garantito dal semplice ordine sociale, anzi il bene comune consiste nell'“insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”. Ciò significa che compito della comunità politica, che deve difendere e promuovere il bene comune, non è solo mantenere un ordine tramite azioni di polizia, ma promuovere tutto ciò che permetta all’uomo la propria perfezione, l’avvicinamento di ogni persona a Dio. Nell’enciclica Caritas in veritate il Pontefice regnante Sua Santità Benedetto XVI più volte ribadisce che in ambito sociale lo sviluppo dell’uomo deve essere integrale, anche quindi uno sviluppo spirituale. Questa dottrina è presente già nell’enciclica Centesimus annus del Venerabile Giovanni Paolo II Magno e viene confermata al numero 2461 del Catechismo[10]. Anzi, per risolvere i problemi sociali «Occorre […] far leva sulle capacità spirituali e morali della persona e sull'esigenza permanente della sua conversione interiore».[11] Il problema è cioè che, di fronte al peccato sociale, cioè di fronte al male commesso da più persone in seno alla società, non basta risolvere i problemi con riforme e mezzi di vario tipo, ma è necessario combattere quel male riformando le persone, convertendole: «Là dove il peccato perverte il clima sociale, occorre far appello alla conversione dei cuori e alla grazia di Dio»[12] e ancora «La partecipazione di tutti all’attuazione del bene comune implica, come ogni dovere etico, una conversione incessantemente rinnovata delle parti sociali»[13]. Non si tratta solo di approntare soluzioni tecniche e materialistiche, ma si tratta di promuovere una serie molto ampia di attività che tengano conto non solo dell’ordine pubblico, né tanto meno della sola materia (ad esempio dei soli beni economici), ma anche dello spirito. Per promuovere il bene comune, secondo l’elencazione presa dal Catechismo al succitato numero 1908, è dunque necessario promuovere la libera azione di ognuno per realizzare la propria vocazione, attraverso le condizioni che permettono tale realizzazione: il bene comune quindi sarà promosso quando si favoriranno le libertà religiosa, economica, politica, l’equilibrio tra diritti e doveri, la scelta di formare una famiglia, di fare figli, istruirli ed educarli secondo il proprio convincimento ed alla propria fede, la partecipazione alla vita della comunità politica secondo le proprie capacità, la scelta e la continuazione di un’attività lavorativa, e così via. L’impegno del cattolico per il bene comune è insomma molto più ampio che non la semplice lotta alle mafie.
Indubbiamente è cosa buona allora che il cattolico si occupi anche di sicurezza dalla criminalità. Anzi, sarebbe molto positivo che buoni cattolici si adoperassero in questo campo, per evitare gli approcci ideologici, riduttivi, che popolano le parrocchie. Troppo spesso, dimenticando la Dottrina Sociale della Chiesa, nelle parrocchie si propone un cattolicesimo annacquato, una visione ideologica e commistionata al problema della criminalità o all’educazione civica, un cristianesimo falsato che riduce quasi tutto l’impegno del cattolico alla battaglia contro la criminalità stessa e attività simili. Il cristianesimo così si riduce a mero senso civico, un senso civico in verità anche dimezzato, visto che, non proponendosi in quelle parrocchie la conversione, una formazione dottrinale e spirituale, nonché una vita morale seria e robusta, il senso civico manca così delle sue basi più profonde, proprio perché solo la conversione risolve le questioni sociali e quindi solo la conversione garantisce un autentico senso civico. Ferma restando l’esistenza degli uomini di buona volontà, sono i buoni cattolici quindi che fanno buona la società, sono i cattolici santi che risolvono i problemi, non i proclami, le denuncie e le lotte di tipo sindacale. È insomma una società cristiana, una cristianità, la soluzione ai problemi della società stessa, problema mafioso compreso, nonostante le visioni ideologiche, di cui stiamo dicendo, troppo spesso siano refrattarie e anche ostili verso qualunque discorso che si riferisca alla cristianizzazione della società. Ebbene, oltre che la vera soluzione della piaga mafiosa, l’impegno di cattolici ben formati alla scuola del Magistero permetterebbe anche di far piazza pulita di queste visioni ideologiche, abbellite con spruzzate parziali di cristianesimo, che sono presenti in alcune parrocchie, strappando finalmente la lotta alla mafia dalle grinfie di queste visioni ideologiche. È quindi importante che ci si attivi in tale campo in modo corretto, ma proprio l’attivarsi correttamente implica che non si restringa il proprio impegno di cattolici a questa sola tematica. È bene invece, per quanto possibile e secondo la propria vocazione, abbracciare tutti i rami che sono legati al bene comune. L’impegno dei cattolici per il bene comune, quindi l’impegno delle parrocchie, delle diocesi e dei formatori, non sarà allora educare al civismo, allo stare insieme civilmente ed educatamente nella comunità politica – che non è compito delle parrocchie, ma del solo laicato –, ma sarà invece formare globalmente dei buoni cattolici, indirizzati verso la meta della santità. Solo così, ed occupandosi di tutti quei rami che si è elencati in precedenza e che riguardano il bene comune, si avrà il rispetto del bene comune stesso. E poiché il bene comune è il perseguimento del bene di tutta la società e poiché, come ricordato da Giovanni Paolo II Magno nella Sollicitudo rei socialis, la Dottrina Sociale è propriamente la parte della teologia morale cattolica che si occupa della società[14], è bene anche ricordare che dunque gli insegnamenti sociali della Chiesa non si riducono ai temi che solitamente sono trattati dagli uffici diocesani o dai gruppi parrocchiali specializzati in lavoro, povertà, immigrazione e, appunto, legalità – tutti temi che possono e devono essere trattati in modo più che felice ed efficace, ma che non sono il tutto della Dottrina Sociale –, ma sono invece insegnamenti che abbracciano ogni aspetto dell’ambito socio-politico, cioè anche la bioetica, le questioni riguardanti la famiglia e i gruppi sociali, le istituzioni, la partecipazione alla vita politica, etc. Dunque il cattolico, per spazzare via le visioni ideologiche e riduttivistiche del bene comune e della Dottrina Sociale cattolica, nonché distorte della legalità, dovrà formarsi e formare e dovrà attivarsi con riguardo a un ventaglio ben più ampio di tematiche sociali che non quelle prese solitamente in considerazione. Il punto è che però, se compito delle parrocchie è formare i cattolici alla santità, alla fede, alla conversione, quei cattolici (laici) ben formati, nonché anche le formazioni politiche di destra – che dovrebbero puntare a una società ordinata contro l’anarchismo della sinistra[15] e dovrebbero essere l’alveo politico naturale dei cattolici, come mostrano vari autori come Giovanni Cantoni[16] o Piero Vassallo[17] –, dovrebbero scippare all’abusiva morsa del progressismo certi temi – e questo è il fine anche di questo articolo – e trattarli nel più ampio quadro del bene comune, invece di limitarsi alla gestione di potere fine a se stessa, o all’immobilismo, o all’inseguimento della cultura del nemico.
In conclusione, è bene poi sottolineare un altro aspetto molto importante che già si è intravisto e cioè con quali modalità il cattolico debba attivarsi nell’ambito sociale. Molto spesso si assiste infatti a pericolose commistioni tra le competenze del laico e quelle del chierico, cioè del sacerdote, commistioni più volte riprese con forza dai Pontefici. Più recentemente il Venerabile Giovanni Paolo II Magno nella visita cosiddetta ad limina apostolorum di alcuni Vescovi statunitensi presso il Vaticano nel 2 luglio 1993 e Sua Santità Benedetto XVI nella visita ad limina di Vescovi brasiliani del 17 settembre 2009: entrambi hanno messo in guardia dalla clericalizzazione dei laici e dalla laicizzazione dei sacerdoti, dei chierici. Con riguardo alla Dottrina Sociale e al perseguimento del bene comune, nonché con riguardo al problema della criminalità organizzata, ciò significa che il laico non deve fuoriuscire dalle proprie competenze e similmente deve fare il sacerdote e, nello specifico, ciò significa che la repressione e la lotta alla criminalità non sono compito del sacerdote, bensì dell’autorità civile, la cui azione è lasciata al laico nella dottrina di sempre della Chiesa. Ciò viene ripetuto più volte dai Pontefici impropriamente definiti “preconciliari”, ma anche dal Concilio Vaticano II e dai Pontefici più vicini a noi temporalmente. Il compito del sacerdote è invece diverso ed è quello di assistere spiritualmente il laico che si impegni nella lotta alla criminalità e nella promozione più ampia del bene comune, e anche di assistere le vittime e i carnefici che aspettano di essere convertiti. Non a caso, nell’omelia della Messa mattutina di Palermo il 3 ottobre 2010, Sua Santità Benedetto XVI ha invitato i laici, e non i chierici, ad impegnarsi con coraggio nella società[18], mentre ha ricordato ai chierici, al pomeriggio nell’incontro con il clero, che è loro obbligo attivarsi secondo il loro ruolo, soffermandosi specialmente nella preghiera ed avendo cura soprattutto del loro compito specifico, cioè la celebrazione eucaristica, la Messa. Per usare le parole del Santo Padre, «Il Sacerdote non può restare lontano dalle preoccupazioni quotidiane del Popolo di Dio; anzi, deve essere vicinissimo, ma da sacerdote, sempre nella prospettiva della salvezza e del Regno di Dio»[19]. Il Papa nel testo citato porta anche l’esempio del Servo di Dio padre Pino Puglisi, ma ne mette in rilievo l’impegno pastorale marcato, la sua preoccupazione all’educazione delle famiglie e dei giovani nella fede. Questa evidenziazione del suo impegno non è un semplice dettaglio ed è stato posto in rilievo anche da Sua Eccellenza mons. Pennisi, Vescovo di Piazza Armerina: «Solo la santità può sconfiggere la mafia. È questo il senso del riferimento del Papa a don Pino Puglisi. […] Lui non partecipava alle manifestazioni antimafia, ma ha dato più fastidio alla mafia perché testimoniava, ed educava, a riscoprirsi uomini a partire dal Vangelo. Così la gente iniziava a capire cose come l’impegno nella vita quotidiana, il lavoro o la società. O come il perdono, anche nei casi più estremi… Il compito della Chiesa è educare a riscoprire l’umano. E il Papa è venuto proprio a ricordarcelo, non a fare denunce. Perché la denuncia contro la mafia va fatta, ma non risolve il problema. È la fede in Cristo che permette di rinascere come uomini e donne, che lo risolve»[20]. L’esempio del Servo di Dio padre Puglisi è insomma un esempio ricco, fecondo e prezioso. È l’esempio di un martire della fede, come fu anche il giudice Paolo Borsellino[21]; ma come l’esempio di Borsellino, cattolico serio ed impegnato da laico, l’esempio di padre Puglisi rischia di essere mistificato, ideologizzato, non pienamente capito e non pienamente accolto se viene letto e vissuto con le lenti ideologiche di certa propaganda anti-mafia che crede sia compito del sacerdote fare proclami sindacali. Il laico faccia il laico, il chierico faccia il chierico ed entrambi mirino innanzitutto alla santità. Solo così si risolveranno i problemi.



NOTE:


[1] Catechismo della Chiesa Cattolica,  Libreria Editrice Vaticana, 2006, n. 1959, pag. 532.
[2] Ibidem, n. 2242, pagg. 599-600 [corsivi nostri].
[3] A cui è bene aggiungere anche l’opera imponente e rigorosa di Augusto Del Noce, la cui posizione, a causa di alcune sfumature, non è quella di un contro-rivoluzionario puro, ma molto si avvicina a tale scuola.
[4] P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, SugarCo, 2009.
[5] F. ELÍAS DE TEJADA, La monarchia tradizionale, Controcorrente, 2001; ID., Europa, tradizione, libertà. Saggi di filosofia politica, Edizioni Scientifiche Italiane, 2005.
[6] BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, 2010, n. 43, pagg. 71-72.
[7] Catechismo, op. cit., n. 1906, pag. 521.
[8] Ibidem, n. 1907-1909, pag. 521.
[9] M. CICALA, Etica cristiana e senso dello Stato. Di fronte al martirio di Giorgio Ambrosoli, Paolo Borsellino e Rosario Livatino, in Cristianità n. 299/2000, pag. 8.
[10] Catechismo, op. cit., n. 2461, pag. 648. 
[11] Ibidem, n. 1888, pag. 517.
[12] Ibidem, n. 1896, pag. 518.
[13] Ibidem, n. 1916, pag. 523.
[14] GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei socialis, n. 41, in ID., Tutte le encicliche, Paoline, 2005, pag. 654.
[15] Per un’analisi veloce dell’unico ordine legittimo e del suo nemico cfr. P. CORRÊA DE OLIVEIRA, op. cit., pagg. 76 e 71 e ss.; sulla destra come ordine e la sinistra come anarchia cfr. ID., Giustizia e disuguaglianza cristiana, in Cristianità n. 54/1979, pagg. 11-12.
[16] Preziose, in questo senso, le interviste, oltre che a Cantoni, anche a Rino Cammilleri, Roberto de Mattei e Piero Vassallo, contenute in M. FERRAZZOLI, Cos’è la destra. Colloquio con diciotto protagonisti della cultura italiana non conformista, Il Minotauro, 2001.
[17] Specialmente nel più recente P. VASSALLO, Itinerari della destra cattolica, Solfanelli, 2010.
[18] BENEDETTO XVI, Omelia alla Santa Messa presso il Foro Italico di Palermo del 3 ottobre 2010, in http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2010/documents/hf_ben-xvi_hom_20101003_palermo_it.html
[19] ID., Incontro con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i seminaristi del 3 ottobre 2010, in http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2010/october/documents/hf_ben-xvi_spe_20101003_palermo-cattedrale_it.html#
[20] C. RIZZO, Il Sud rinascerà dai santi, in Tempi n. 41/20 ottobre 2010, pag. 20 [tali constatazioni sono state proposte da S. E. mons. Pennisi anche in occasione della sua catechesi presso la chiesa di Sant’Agostino in Palermo la sera del 2 ottobre 2010].
[21] M. CICALA, op. cit., pag. 5.



Vuoi scrivere un commento su questo articolo? Clicca qui

Vuoi tornare a RISCOSSA CRISTIANA – home? Clicca qui