IL BLOG DI RISCOSSA CRISTIANA

ICONE DELLA FALSA DESTRA


 di Roberto Manfredini




Solfanelli ha appena pubblicato Icone della falsa destra, una raccolta di articoli e brevi saggi filosofici che riassumono perfettamente il percorso intellettuale di Piero Vassallo.  È un buon punto d’avvio per chi non ha ancora trovato il modo di avvicinarsi alle idee di questo maestro. Personalmente lo considero uno dei libri migliori usciti in questo deludente 2010 (e quale anno di questi ultimi non è deludente, dal punto di vista culturale?).

Non è la solita tiritera sugli “anni formidabili”, quella retorica sessantottarda che sembra ultimamente aver conquistato anche gli evolo-marcusiani; né tanto meno la ricerca biliosa e stizzita di una “vera destra” dispersa in chissà quale iperuranio. Sono invece pensieri freschi, di quelli che non si sciupano nel giro di un anno o due. Ancora più importante, la generosità intellettuale di Vassallo consente al testo di non alienarsi nel campo morto delle “pubblicazioni d’area”. Non stupisce di trovare, tra le critiche stringenti ai nomi di grido della “nuova destra” (“nuova” da trent’anni, si intende – come Alessandro Giuli, Gianfranco De Turris, Marco Tarchi), un elogio del libro di Domenico Losurdo (vero stalinista) su Nietzsche (Il ribelle aristocratico): «La filosofia di Nietzsche si riduce allo schema festante di un conservatorismo della sciagura e della disperazione».
Vassallo non crea quindi un index dei libri proibiti, ma snida l’ipocrisia di quelli che vorrebbero spacciare una tradizione contraffatta come unico antidoto alla modernità. Oltre ai suoi bersagli di sempre (Cristina Campo, Simone Weil –pasionaria del catarismo-, Gomez Devila –“pitigrilli senza sorriso”- e tutta la cricca adelphiana, da Calasso a Zolla), questa volta Vassallo supera se stesso demolendo Nietzsche, Evola e Cioran.

Partiamo da quest’ultimo: gli adelphi’s più snob lo dicono alla francese, Siuran, ma chi ha mai letto le pagine dell’onanista rumeno trovandoci il seppur minimo bagliore d’intelligenza? È una storia che comincia negli anni ’70, e Vassallo la racconta bene: «[Cioran servì] a collocare l’anticomunismo in un diverso e tetro orizzonte “spirituale”: l’idea (fatalista) della storia come conseguenza di una “caduta irreparabile, una perdita che niente può colmare”». Il ruolo di Cioran, mutatis mutandis, è ancora lo stesso: un narcotizzante per il neodestro che, seppur consapevole che la vita non ha senso (oppure, ancora meglio: «la vita è sopportabile soltanto all’idea di poterla lasciare quando si vuole»), crede comunque che una “reazione” qualsiasi sia possibile: Cioran agogna ad una «estasi vuota, senza contenuto, la felicità perfetta». pensandoci bene, è proprio questo il contenuto rassicurante della neodestra finiana: anche se tu fossi un militante della Legione San Michele di Codreanu, potresti continuare a masturbarti allegramente.
Cioran è il guru perfetto per una ideologia che personalmente definirei “vittorianesimo impotente”, la quale si estende al “ceto intellettuale subalterno” di sinistra: giovanotti non molto svegli che, per non affogare nella noia, leggono libri che non dovrebbero leggere. Indovinate chi li stampa, codesti libelli? Esatto, sempre lui. E il grande Cioran, l’eretico assoluto, l’apostata totale che non riconosce maestri, tira fuori la linguetta per una leccata alla pantofola gnostica: «Roberto Calasso è un uomo eccezionale, acuto, di primissimo ordine» [Un apolide metafisico, p. 162].

Liquidare quel buono a nulla di Cioran non è comunque un’impresa difficile; più complicata, invece l’architettura della critica a Nietzsche, costruita su autori come K. Löwith, J. Köhler e il già citato D. Losurdo. Vassallo, senza tanti giri di parole, svela «l’impostazione patibolare, propriamente shivaitica, della filosofia nietzschiana. Disattivata la ragione, che altrimenti produrrebbe pericolose difese immunitarie, irrompe la luce abbagliante e spietata dell’imperativo nichilista: sacrificare la vita dei singoli alla vita anonima». Se leggiamo Nietzsche nell’ottica della sua stessa filosofia, scopriamo ciò che abbiamo sempre pensato ma che nessuno ha avuto il coraggio di dire: «contro le euforiche affermazioni dell’autore, nell’opera di Nietzsche il principio di immanenza abbandona i radiosi progetti di felicità per sprofondare nelle sue naturali radici, che non piantate nella disperata terra di Shiva».
Le boutades del superuomo, che un tempo eccitarono gli scismatici einaudiani confluiti verso Calasso, come «accompagnerete il corso dionisiaco dall’India alla Grecia» [Nascita della tragedia], oggi sembrano annunci pubblicitari di qualche tour chatwiniano con “foto con sciamano” inclusa.
Una risata apollinea seppellisce il Dioniso inesistente costruito dal filologo ribelle: la «Lourdes ellenica dove il dio appariva» (J. Köhler) è una delle trovate ad effetto per nascondere la vacuità culturale ed esistenziale del solito profeta del nulla.

Ancora più impegnativo smontare l’intoccabile Julius Evola rendendo orfani i suoi tigrotti. È giusto salvare la persona, ma non per il pensiero: l’avventura del “Marcuse di destra” (un’espressione ormai entrata “nel politichese” comune, ma frutto del fraintendimento d un articolo di Giano Accame, che Vassallo corregge) è tutta da dimenticare.
Per l’ennesima volta è l’ipocrisia a regnare: come la reazione di Cioran e l’ebbrezza di Nietzsche sono paradossali e ingiustificabili, così anche la difesa della “romanità” e il tradizionalismo evoliano visti da vicino assomigliano sempre più a dei colossi dai piedi d’argilla: «Evola giunse al punto di credere seriamente che, predicando la “negazione di tutto l’esistente” si attuasse “una severa disciplina [tradizionalista!] portata fino agli estremi”».

Ogni capitolo del libro è un contravveleno diverso per la stessa malattia che vuole uccidere la tradizione, la cattolicità e la cultura italiana. Ma anche la missione dell’intellettuale occidentale è sempre la stessa: «Costruire la civiltà a partire dall’armonia della fede con la tradizione del diritto romano». E noi, come Piero Vassallo, non ci vergogniamo di chiudere con le parole di Giovanni Paolo II: «All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo» [“Lettera ai Vescovi italiani”, 6/1/1994].



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