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IL CARTEGGIO CHURCHILL-MUSSOLINI ALLA LUCE DEL PROCESSO GUARESCHI

















UBALDO GIULIANI BALESTRINO (2010) Il carteggio Churchill-Mussolini alla luce del processo Guareschi, Roma, Edizioni Settimo Sigillo



di Emilio Biagini


“Vae victis” è un detto eternamente valido. Il vincitore non solo distrugge, ma deforma l’avversario, imponendogli i suoi modelli di vita. Non c’è dubbio che questo sia vero particolarmente per le vicende legate al secondo conflitto mondiale. Dai vincitori anglosassoni abbiamo quindi dovuto accettare, volenti o nolenti, tutta una serie di “innovazioni”, fra cui l’antirazzismo estremo e contraddittorio, che da una parte nega l’esistenza della razze, dall’altra onora del titolo di “razze” gruppi di qualunque genere ritenuti meritevoli di speciale “protezione”. Naturalmente, per poter schiacciare del tutto l’avversario, occorre dominarne anche la storia, facendo sì che l’altro creda quello che vuole il vincitore.

Così, gli sconfitti hanno compiuto atrocità d’ogni genere, mentre i vincitori erano puri crociati spinti esclusivamente dal desiderio di liberare le vittime oppresse. Col passare del tempo, studiosi più seri, anche di parte dei vincitori, rettificano, almeno in parte, queste storture, ma nella coscienza popolare, la vulgata storica dei vincitori si è ormai radicata in modo irreversibile. Il carteggio Churchill-Mussolini è stato presentato dalla vulgata vincente come ben poteva prevedersi: come un falso.

Il problema venne alla luce in modo drammatico nel 1954 con il processo Guareschi. Ubaldo Giuliani Balestrino ha condotto una rigorosa indagine sull’intera vicenda e le sue potenziali implicazioni per la storia d’Italia, ribaltando completamente la vulgata corrente. Anzitutto l’autore dimostra come De Gasperi non avesse bisogno di scatenare un conflitto per la pubblicazione delle due lettere: era coinvolto, all’epoca, in polemiche ben più velenose, e non sarebbe stato molto grave per lui ammettere di aver consigliato un bombardamento al di fuori della zona di città aperta di Roma, come risultava dalle due lettere del carteggio pubblicate da Guareschi. Fra l’altro il bombardamento non venne neppure eseguito: i liberatori pensarono bene di bombardare Roma stessa.

De Gasperi e l’intero “establishment” politico e giornalistico reagirono furiosamente alla pubblicazione delle due lettere. Guareschi fu condannato al carcere senza che in pratica gli fosse permesso di difendersi, la sentenza era già scritta, solo in base alla “luminosa” figura di De Gasperi; venne infatti respinta la sua richiesta di una perizia sulle lettere (già confermate da una perizia ordinata dallo stesso Guareschi), richiesta alla quale si era associato anche il pubblico ministero.

Le gravi anomalie giuridiche della condanna inflitta a Guareschi sottolineano che dietro tutto ciò doveva esserci ben altro. Dopo la guerra, Churchill non faceva che venire in Italia, nella zona dove Mussolini era stato assassinato per cercare di recuperare le carte, che evidentemente lo compromettevano e avrebbero compromesso l’intera icona dell’eroica guerra britannica contro il “fascismo”.

Il reale significato del carteggio si spiega considerando l’assurda condotta dell’Italia in guerra, dalla quale si deduce l’esistenza di un patto segreto tra Mussolini e Churchill. Mussolini doveva fare la guerra sabotando lo sforzo bellico tedesco e provocandone la sconfitta. Quando fu chiaro che gli “alleati” avrebbero vinto, l’appoggio dell’Italia divenne superfluo e la guerra inevitabilmente si inasprì: i britannici e i loro alleati non esitarono a massacrare l’Italia.

Ma Mussolini credeva, ingenuamente, che il carteggio potesse alleggerire le condizioni di pace, che fosse equivalente “a una guerra vinta”, perché Churchill si era impegnato a conservare l’integrità del Regno d’Italia. Quando Mussolini, abbandonando le forze armate della Repubblica Sociale, che erano disposte a difenderlo fino all’ultimo, cercò di mettersi in contatto con gli inglesi, i suoi malfidi amici lo assassinarono.

Anche molti anni dopo il processo Guareschi continuava a sussistere la necessità di nascondere qualcosa di estremamente grave. Anche in epoca più recente, si continuò a sostenere che Guareschi era stato “un ingenuo” a credere all’autenticità delle missive, come sostenuto da Giulio Andreotti. Riconoscere l’autenticità del carteggio avrebbe comportato, anche a distanza di molti anni, una gravissima crisi politica. L’opposizione italiana alla ratifica del trattato di pace, invece di sfumare in “cupidigia di servilismo”, sarebbe divampata, conducendo ad un conflitto con la Jugoslavia che, grazie alle foibe e alla pulizia etnica, stava facendo bottino di terre italiane, con il pieno sostegno degli alleati vincitori. Avrebbe persino potuto verificarsi l’uscita dell’Italia dalla NATO, sconvolgendo l’equilibrio tra i due blocchi.

Dalla documentatissima ricostruzione dell’autore, condotta con serrata logica e profonda conoscenza del diritto e della psicologia, emerge la luminosa figura di Giovanni Guareschi, unico vero vincitore morale di tutta la vicenda. Tutti gli altri ne escono moralmente distrutti: non solo Churchill, la cui doppiezza era già ben nota, ma anche De Gasperi, e soprattutto Mussolini, doppiamente colpevole di aver fatto la guerra e di averla condotta allo scopo di perderla, tradendo l’alleato. D’accordo, l’alleato era uno col quale non avrebbe mai dovuto allearsi, ma pacta sunt servanda.

Dal punto di vista politico, occorre tristemente notare che riconoscere la verità troppo tardi resta senza effetto sulle vicende successive, così che l’Italia, che ha perso l’indipendenza, resta più che mai al rimorchio della schiacciante potenza anglosassone.


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