IL BLOG DI RISCOSSA CRISTIANA

LA VERITÀ OSCURATA:UNO STUDIO DELL’ODIO ANTICRISTIANO








di Emilio Biagini


(prima parte – la seconda parte sarà pubblicata sul num.12 di Riscossa Cristiana, in Rete dal 30 settembre)


Il mito di Giordano Bruno

La Chiesa cattolica ha subito violenti attacchi dai movimenti ereticali fin dal primo secolo. Con la “riforma” questi attacchi hanno assunto un carattere sistematico. Più tardi si è aggiunto quel particolare tipo di idolatria della ragione noto come “illuminismo”. L’assunto politicamente corretto alla base di tale obituario movimento è che la “ragione umana” è in qualche modo inconciliabile con la Fede cristiana, e specialmente con la Chiesa: un modo di pensare risale in parte al cosiddetto “rinascimento”, un’età non solo di grandi artisti, ma anche del riemergere di eretici, maghi, indovini e negromanti, l’età di Lutero, Calvino, Nostradamus e Giordano Bruno.

Costui è particolarmente caro ai nemici del cattolicesimo, che lo hanno elevato a simbolo del “libero pensiero” e ad antesignano del mondo moderno, dedicandogli non pochi orrendi monumenti qua e là, persino in luoghi come le università, dove si suppone che gli studenti vengano ad imparare qualcosa. Visto il livello morale del mondo moderno, del resto, non vi è alcuna difficoltà a riconoscere in Giordano Bruno uno dei suoi più significativi spiriti fondatori, soprattutto nel senso della crassa distorsione del pensiero scientifico in funzione anticristiana: tale è, ad esempio, la farneticante idea di un universo infinito, che porta al panteismo, e poi all’ateismo (che bisogno c’è di Dio se il mondo esiste per conto proprio?), e che viene considerata uno dei suoi contributi fondamentali. “Il sole che fa brillare la luce piena, meridiana, della verità, è Bruno stesso”, scrive in toni elegiaci, su una rivista del Rotary, uno dei suoi molti sprovveduti laudatori (Montano 2001).

Ma chi era in realtà Giordano Bruno? Un eretico, una spia, un negromante, una nullità scientifica. Il suo maggior contributo “scientifico”, l’idea di un “universo eterno ed infinito”, è davvero un caso di “imperatore senza vestiti” come nella favola. A demolire l’idea bruniana dell’universo “infinito”, basta la domanda di un bambino: perché di notte il cielo è buio? La risposta è: il numero delle stelle, per quanto immenso, è limitato; se fosse infinito, il cielo risplenderebbe di luce abbagliante e continua, senza alcuna differenza fra giorno e notte. È questo il famoso “paradosso” dell’astronomo tedesco Olbers, formulato nel 1826. Non si tratta di una scoperta che richieda strumentazioni sofisticate (anzi, non ne richiede d’alcun genere), né conoscenze matematiche particolari. Basta una elementare comprensione del concetto di infinito e un po’ di buon senso. Nulla avrebbe impedito al “brillante filosofo” di Nola di porsi una domanda così ovvia e di trovare la risposta, se davvero fosse stato quel “genio” che i settari laicisti vorrebbero fare apparire.

Spinto da una forte propensione alla gnosi, privo di scrupoli, con un’altissima opinione di sé, dedito alla stregoneria, sulla quale pubblicò varie opere, Bruno si dedicò alla circonvenzione di menti più deboli. Durante il suo soggiorno a Londra, si valse della sua posizione di sacerdote per raccogliere, persino in confessione, informazioni sui cattolici, da passare poi al servizio segreto di Walsingham, il quale si incaricava di arrestare i malcapitati per torturali e mandarli al patibolo. Infine venne arrestato a Venezia. Vi aveva fatto tappa sulla via di Roma, dove stava recandosi nella speranza di circonvenire il Papa e di spingerlo alla distruzione della Chiesa. Venne arrestato su denuncia del nobile veneziano Giovanni Mocenigo che lo ospitava, e che era terrorizzato dalle sue strane pratiche “mnemoniche”, le quali erano in realtà un metodo esoterico (ossia satanico) di circonvenzione e soggiogamento della volontà altrui.

La prima fase di tale metodo consisteva nell’investire l’allievo con insulti d’ogni genere. Lo scopo finale, come lo stesso Bruno espone nel trattato De vinculis, era quello di legare la vittima a sé privandola della volontà. Essenziale a questo scopo era che lo stregone si guardasse bene dall’affezionarsi in alcun modo alla vittima la quale, soggiogata, doveva diventare un cieco strumento nelle mani dello stregone stesso. E questo sarebbe il filosofo a cui si ispira il cosiddetto “libero pensiero”, e al quale è intitolata persino una “Associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno” che pubblica mediante l’editrice “La ragione” di Roma. Bruno fu tradotto nelle carceri dell’Inquisizione a Roma. Contrariamente alla leggenda nera propagandata dai settari, queste erano incredibilmente comode, a dispetto della propaganda in contrario, con vere e proprie lussuose e luminose camere, con vitto di alta qualità e la fruizione di tutti i servizi essenziali (una scorta di vestiti, bagno, lavanderia, rammendatura). Abissale era la differenza dalle spaventose e buie segrete della “democratica” Inghilterra protestante, dove si praticavano tutte le atrocità che la propaganda settaria ha voluto invece attribuire all’Inquisizione cattolica. Giordano Bruno venne sottoposto ad un processo durato otto anni, durante il quale gli venne data ogni possibilità di difendersi e di ritrattare i suoi errori e le sue pratiche sataniche, e infine, riconosciuto irrecuperabile, fu consegnato al braccio secolare. La sua esecuzione divenne, naturalmente, un “pezzo forte” della propaganda anticattolica massonica. La fondamentale opera del D’Amico (2000) mette finalmente a fuoco l’intera vicenda, sebbene dia un giudizio ancora troppo favorevole su Bruno dal punto di vista intellettuale, come si evince dal mito bruniano dell’universo “infinito” accennato sopra.

Inquisizione e caccia alle streghe

Una delle più comuni accuse alla Chiesa è quella di essere responsabile della “caccia alle streghe”. Ma un’analisi attenta rivela che tale fenomeno si intensificò proprio con la “riforma”, e i protestanti furono i più zelanti accenditori di roghi. Moltissime streghe furono pure bruciate dalle autorità civili, non dalla Chiesa, mentre la forma mentis razionalista dei domenicani, forgiata sulla logica di Aristotele, tendeva piuttosto a considerare la stregoneria come un tipo di superstizione. Se vi fu in questo campo qualche errore da parte di uomini di Chiesa, non bisogna dimenticare che si trattava di un tipo di errori che nei secc. XVI e XVII venivano condivisi da tutti (Cardini 1979). La caccia alle streghe è rampante tuttora nelle società meno toccate dal Cristianesimo: a danno dei più deboli nei villaggi indù dell’India preda del millenario razzismo delle caste, nelle tribù africane ancora dominate dall’animismo pagano, nei villaggi andini del Perù e dell’Ecuador dove un Cristianesimo assimilato solo in modo estremamente superficiale si sovrappone malamente alla pervicace persistenza del paganesimo e di arcaiche superstizioni.

Già nel 1631, le opinioni realmente illuminate dominanti nella Chiesa cattolica furono espresse in un libro dal titolo Cautio criminalis, del Padre gesuita Friederich Spee von Langenfeld, libro che ebbe grande successo e fu tradotto nelle maggiori lingue europee: in esso si definivano “anticristiani”, e contrari all’idea cristiana dell’uomo, i processi alle streghe, si richiamava la legge naturale della presunzione d’innocenza, secondo cui nessuno deve essere considerato colpevole finché non sia stata dimostrata la sua colpevolezza; l’autore sosteneva inoltre l’indipendenza dei giudici e l’abolizione della tortura, perché inutile per la ricerca della verità. La società secolarizzata scaturita dalla “riforma”, dal cosiddetto “illuminismo” e da tutta la sequela di ideologie atee e materialiste che ne sono seguìte — dopo aver cercato di gettare nel dimenticatoio l’opera di Spee von Langenfeld e le grandi conquiste dell’umanesimo cristiano — si è insignita del merito di aver dato vita a tali idee e di averle realizzate, mentre ha invece condotto direttamente alle più spaventose tirannidi mai viste.

L’Inquisizione (vedi Cardini 1994, 1999, Garcia Carcel 1990, Guiraud 1974, Prosperi 1996, Tedeschi 1998, Testas 1966, Van der Vekené 1982-92), nacque per contrastare l’eresia càtara e, forse, ancor più per assicurare ai càtari arrestati almeno un processo, dato che le autorità civili li massacravano indiscriminatamente. Chi erano i càtari? Nati in Bulgaria col nome di “bogomili”, e diffusi poi in Occidente, soprattutto nella Francia meridionale col nuovo nome di “albigesi”, costoro non erano precisamente innocui idealisti: le loro idee erano tali da sovvertire qualunque autorità e, se applicate a fondo, avrebbero portato all’estinzione dell’umanità, o almeno dell’Europa. Essi infatti sostenevano che, essendo il mondo materiale “creazione” del demonio, l’umanità avrebbe dovuto cessare di generare figli ed estinguersi. Né tali idee, di evidente matrice neognostica, venivano propagate in modo pacifico, ma col ferro e col fuoco. Come ben ci si può immaginare, la cosa destava qualche preoccupazione, ed era inevitabile che sia le autorità civili sia la Chiesa, direttamente e fisicamente attaccata con massacri e distruzioni, si difendessero. Durissima era spesso la repressione da parte delle autorità civili, che bruciavano sul rogo i catari senza processo. Talvolta era la stessa popolazione inferocita a perseguitarli e a linciarli. L’Inquisizione serviva a dar loro almeno un processo e la possibilità di convertirsi.

Dove fu presente l’Inquisizione il flagello delle guerre di religione non mise piede e la stregoneria rimase quel che era: uno sciocco peccato di superstizione di competenza del confessore ordinario. Nelle zone di influenza del sacro tribunale non ci furono pogrom contro gli ebrei né caccia alle streghe. Qualche volta l’Inquisizione usava la tortura, ma si trattava di una pratica generale di tutte le autorità dell’epoca. In numerosissimi Paesi, del resto, la si impiega ancora oggi. Con questa differenza: il tribunale dell’Inquisizione applicava un solo tipo di tortura relativamente moderato: i tratti di corda, con forti limitazioni di tempo e di intensità, e solo in casi assai rari e ben definiti. Ben prima dei buonisti dell’“illuminismo”, i padri inquisitori si erano resi conto che il sistema serviva a far confessare i deboli e i paurosi, non necessariamente i colpevoli. Dai processi dell’Inquisizione la tortura era già stata di fatto abolita nel sec. XVII. Le celle dell’Inquisizione non erano segrete profonde e senza luce, ma stanze aerate e ben più comode rispetto alle celle conventuali. Era prescritto che lenzuola e federe si cambiassero due volte la settimana. “Una volta al mese i cardinali responsabili dovevano ricevere uno ad uno i prigionieri per sapere di che avessero bisogno. Mi sono imbattuto in un recluso friulano che chiese di avere birra al posto del vino. Il cardinale ordinò che si provvedesse ma, non riuscendo a trovare birra a Roma, si scusò con il prigioniero, offrendogli in cambio una somma di denaro perché si facesse venire la bevanda preferita dalla sua patria” (Firpo 1992).

Gli storici britannici usano esaltare la conquista giuridica dell’habeas corpus, la legge promulgata nel 1679 da re Carlo II Stuart, la quale impone all’autorità competente di tradurre l’arrestato entro un dato giorno dinanzi al tribunale, e quindi pone un freno alle detenzioni illegali e garantisce la libertà a chi fu imprigionato illegalmente. Ebbene, oltre un secolo prima, nel 1548, una costituzione pontificia di Papa Paolo III obbligò a iniziare il processo entro il terzo giorno dall’arresto: una versione più avanzata non solo rispetto all’habeas corpus inglese, ma anche in confronto ai sistemi giudiziari odierni di Paesi che pretendono di avere una magistratura “democratica”. E, diversamente da tali paesi, il pubblico ministero rispondeva seriamente della vita dell’imputato: se un suo inquisito si fosse suicidato in carcere, l’inquisitore era invariabilmente punito con l’ergastolo, come accadde all’epoca dell’eresia càtara a Roberto il Bulgaro, un ex càtaro egli stesso, noto per la sua severità. Assai frequenti i casi di complete riabilitazioni: un corsaro islamico catturato e scoperto come rinnegato cristiano, condannato al carcere a vita, di condono in condono si ritrovò, dopo appena un anno, capitano di vascello al servizio del re di Spagna (Cammilleri 1999).

Il processo sotto l’Inquisizione, poi, durava al massimo pochi mesi, e all’accusato veniva fornito ogni mezzo per difendersi, compresa la consultazione gratuita, e per tutto il tempo necessario, di libri che egli ritenesse utili per documentarsi e controbattere le accuse. Dati del 1552 riportano che, in quell’anno a Roma, su un totale di 6.533 carcerati, 5.798 furono assolti, e per la maggior parte dei condannati la pena fu quella dell’esilio (Cammilleri 1999). Bernard Gui (sec. XIV), è l’inquisitore che Umberto Eco ha dipinto a tinte sinistre da volgare romanzaccio “gotico” nel molto sopravvalutato libro di ambientazione pseudo-medievale Il nome della rosa, basato sul demenziale assunto secondo cui la Chiesa avrebbe avuto paura dell’umorismo. Ebbene, la ricerca storica ha dimostrato che, su 930 imputati inquisiti da Gui, solo 42 furono rimessi al “braccio secolare”, ossia alle autorità civili, per la condanna. E chi era consegnato al “braccio secolare”, veniva condannato secondo le leggi laiche, non dalla Chiesa (Cardini 1999), la quale cercava invece fino all’ultimo di convertire l’eretico e salvargli la vita e l’anima. La percentuale dei condannati, tuttavia, era solitamente inferiore al 5%, e le condanne normalmente non erano a morte, ma frequentemente all’esilio o alla recita regolare di determinate preghiere come i salmi penitenziali.

Pochissimi sanno che la “tremenda” condanna inflitta a Galileo Galilei, in un processo che è diventato cavallo di battaglia di tutti i settari, ma che è facilmente comprensibile data la violenza degli attacchi che la Chiesa veniva subendo da parte dei protestanti, fu appunto di recitare i sette salmi penitenziali una volta la settimana, pena ben presto commutata negli arresti domiciliari nella villa di Arcetri, che per un uomo ormai vecchio non significava in pratica alcun cambiamento nel modo di vita. I regimi politici nati dai movimenti neognostici della “riforma” protestante, del giacobinismo massonico, del comunismo ateo, proiettarono sull’Inquisizione la loro cattiva coscienza. Grazie alla spessa nube di fumi farisaici, protestanti e laicisti, una serena valutazione dei fatti è stata sostituita da reazioni di repulsione al solo sentir pronunciare la parola “Inquisizione”. Si volle far credere che nel “buio” Medioevo si interrogasse e si torturasse con la medesima ferocia con cui i nemici della Chiesa usavano, ed usano tuttora, accanirsi contro di essa.

Le aggressioni eretiche

In effetti, tutti i movimenti eretici furono altrettanto aggressivi. Prima che la notte di San Bartolomeo ponesse fine alle aggressioni degli ugonotti, questi calvinisti francesi avevano devastato chiese e monasteri, con omicidi, violenze d’ogni genere e orrende profanazioni: preti e monaci furono massacrati, monache violentate e assassinate, il Corpo di Cristo fu fatto calpestare dai cavalli. Tra il 1559 e il 1562, la maggior parte delle comunità ugonotte, essenzialmente urbane, si posero sotto la protezione di un Seigneur locale, ottenendo così “conversioni” anche nelle campagne. Gli ugonotti occupavano le amministrazioni pubbliche nelle province con tecniche di infiltrazione del tutto simili a quelle dei partiti totalitari, assumendo così il controllo di intere regioni, dalle quali la Chiesa cattolica veniva cancellata con metodi che non avevano nulla da invidiare a quelli delle peggiori dittature.

Molto simili furono le persecuzioni nelle Isole Britanniche, con l’aggravante che i protestanti riuscirono a mantenersi saldamente in sella, col potente sostegno dei grandi Lord i quali, dopo essersi ingrassati impadronendosi delle terre della Chiesa, erano ovviamente quanto mai riluttanti a permettere un ritorno della Chiesa, e, sempre più, grazie allo sviluppo del commercio oltremare, in seguito al quale ottennero il sostegno di un’altra classe di ladri particolarmente ricchi: i mercanti. In Inghilterra, costoro erano invariabilmente anche pirati o come minimo ricettatori, ai danni del navigli cattolico, specie spagnolo. Non occorre dire che la storiografia ufficiale racconta una storia del tutto diversa: la storia manipolata dal vincitore. E solo di recente ha cominciato ad essere sollevato il velo sulla parte avuta dalla massoneria britannica nell’organizzare il brutale attacco al Papa e all’Italia cattolica durante il cosiddetto “risorgimento”, e la successiva colonizzazione economica e culturale.

(continua)


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