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LE RAGIONI DELLA FEDE E L’IRRAZIONALITÀ DELL’ATEISMO




di Filippo Giorgianni  


La terza e ultima parte sarà pubblicata il 30 settembre, sul num. 12 di Riscossa Cristiana


2.1 Razionalità della fede

Posto ciò, è da comprendere se la fede in Dio abbia questo fondamento razionale e quale sia questo fondamento. Dire che un credere non è, di per sé, irrazionale, non significa che la fede in una realtà trascendente debba necessariamente esser supportata dal razionale. Può esserlo in ipotesi, ma bisogna indagare se lo sia effettivamente. Secondo la dottrina della Chiesa infatti, Dio è in realtà effettivamente raggiungibile con la ragione: «l’uomo che cerca Dio scopre alcune “vie” per arrivare alla conoscenza di Dio. Vengono anche chiamate “prove dell’esistenza di Dio”, non nel senso delle prove ricercate nel campo delle scienze naturali, ma nel senso di “argomenti convergenti e convincenti” che permettono di raggiungere vere certezze»[1]. Questa conoscibilità di Dio origina in sostanza anche dall’osservazione e contemplazione del creato: «partendo dal movimento e dal divenire, dalla contingenza, dall’ordine e dalla bellezza del mondo si può giungere a conoscere Dio come origine e fine dell’universo»[2]. Al di là della formula, si tratta di capire se e quanto essa sia fondata. Cosa significa dire che Dio è conoscibile nel creato? Il punto di partenza è il cosiddetto “realismo filosofico”. Esso si basa sulla considerazione dell’esistenza di una realtà, di res, di “cose”[3]: al di fuori della mente umana[4] si prende atto che v’è una realtà. Quest’ultima è esterna all’uomo, indipendente da lui. Ora, partendo da questa constatazione, per di più confermabile dai sensi dell’uomo stesso che percepiscono ciò che è esterno a quest’ultimo, si può dire che esiste una realtà prima di tutto fisica, naturale, appunto quello che la Chiesa chiama “creato” (in quanto creato da Dio) e che i moderni definiscono riduttivamente “natura”. Il primo passaggio è dunque riconoscere fuori di sé, nell’empirico, nell’immanente (sondabile tramite le scienze naturali e il loro metodo), un qualcosa di estraneo al soggetto, riconoscere che esistono delle cose fuori dell’uomo (“res sunt”). Come si giunge però dall’immanente al trascendente? Il secondo passaggio consiste nell’analisi di questa realtà naturale, di questo creato, tramite la scienza. Analizzando il creato, studiandolo scientificamente, si potrà constatare come esso sia complicato e razionale, ordinato – per portare esemplificazioni banalissime e del tutto eterogenee (senza pretese di specifiche e puntuali analisi): si pensi ai meccanismi di impollinazione in natura, si rifletta sulla catena alimentare, si pensi alle leggi che governano l’universo –, e come la sua genesi, nelle ipotesi formulate dagli scienziati quali, ad esempio quella del “big bang”, sia frutto della convergenza di una serie di variabili, di una serie di “coincidenze”, quasi “fortunose”, senza le quali non vi sarebbe stato il creato che si sta analizzando e che, per di più, sono coincidenze estremamente favorevoli alla nascita e proliferazione della vita[5]. Nel portare avanti questa analisi si giunge così al terzo momento o passaggio: perché esiste questa realtà immanente? A Chi o a cosa dobbiamo quest’ordine? Queste domande esulano dall’ambito della scienza e interessano la metafisica: la scienza interessandosi dell’analisi della realtà fisica, può constatare il suo ordine, ma, come anticipato al par. 1.1, deve arrestarsi di fronte a ciò che non può misurare con il proprio metodo sperimentale, e quindi non può essa dare risposte sul perché dell’esistenza di questo ordine, di questa immanenza. Le soluzioni (extrascientifiche) alla domanda che l’analista si trova innanzi sono due: a) una Ragione creatrice; b) il semplice caso. Se, di fronte a queste due soluzioni, nulla può dire la scienza, può però rispondere la ragione, pur senza l’apporto di certezze scientifiche. Se infatti si riflette su due semplici esempi “classici” che, pur facendo leva su fattori empirici, non hanno (né possono avere) pretesa scientifica – ma razionale sì – si potrà comprendere come la convinzione, il credere nell’esistenza di una Mente creatrice, abbia fondamento razionale. I due esempi sono:
a) quello dell’orologiaio[6]: se si osserva un orologio, nella sua complessità, nelle sue molteplici componenti e ingranaggi e nel suo ordine razionale, si può notare come esso non possa esser frutto della mera casualità, ché, se si prende un orologio, lo si smonta pezzo per pezzo, lo si pone in una scatola e si agita la scatola stessa, non ne esce fuori l’orologio tutto intero, grazie alla casualità: è necessario rimontarlo, cioè è necessario che una ragione, una mente creatrice, lo assembli.
b) quello del poema: se si prendono delle lettere e le si getta a caso in terra, non ne esce fuori il Canto I della Commedia di Dante Alighieri, il caso non ne fa un poema, ma è necessario che una ragione (per di più particolarmente ingegnosa, come nel caso del sommo poeta cattolico toscano) ne congegni le rime e i significati.
Questi esempi mostrano come, in termini probabilistici, sia assai improbabile che un meccanismo o qualcosa di complicato e ordinato razionalmente, possa essere frutto del mero caso, e come invece le probabilità più decisamente mostrino che si necessiti sempre di una mente, di una ragione che crei, di un progettista della cosa creata.
Spostandosi sul piano della trascendenza, ciò vorrebbe dire che vi sono moltissime più probabilità – ribadiamo, non siamo in campo scientifico, o di razionalità scientifica, ma in ambito di ragione cognitiva, in campo semplicemente razionale, per quanto i due esempi riportati si basino su casi che coinvolgono “esperimenti” empirici – a favore dell’esistenza di un qualche Progettista del creato, piuttosto che non per un’origine del tutto casuale del creato medesimo. È vero che questa risposta (cosiddetta dell’intelligent design, o disegno intelligente) al quesito sull’origine della vita non è scientifica, bensì filosofica, o rectius metafisica – e il rischio da cui mettere in guardia è che si generi confusione e la si presenti come strettamente scientifica, come fanno alcuni ambienti protestanti –, ma essa ha, in ogni caso, fondamento razionale.
Certamente è corretto d’altronde notare, come fa Paul Davies, che questi esempi non eliminano del tutto alcune difficoltà[7], specie per quanto concerne l’identificazione specifica del Progettista:
a) come questa Mente o Progettista ha creato?
b) perché ha creato?
c) chi ha progettato questo Progettista?
d) qual è l’identità del Progettista?
Tuttavia queste domande aperte sono peraltro sorpassabili. Per quanto concerne la prima questione, è da notarsi che è una domanda che coinvolge aspetti strettamente scientifici, ché è la scienza ad occuparsi del “come” delle cose, laddove metafisica e teologia si occupano del loro “perché”. Ed è ben strano che, a una risposta che non è scientifica (quella del disegno intelligente), Davies, o altri, chiedano di fornire risposte e argomenti scientifici. Inoltre questa domanda non è un vicolo cieco da un punto di vista razionale: lo è solo dal punto di vista di razionalità scientifica, cioè di certezza. In altri termini, l’obiezione non intacca la razionalità della risposta probabilistica di cui si è parlato nei due esempi (orologio e poema), ma sposta l’attenzione sull’aspetto meramente scientifico di cui la risposta però non si occupa, dato che essa dà soltanto argomenti razionali ma non anche dati certi, definitivi, scientifici. E comunque l’obiezione – che si appunta non sul perché ma sul come – è, dal punto di vista scientifico, assolutamente insondabile, perché per essere risolta richiederebbe che l’uomo si collocasse al momento della creazione (o dell’inizio casuale dell’universo) per avere una certezza sul come essa sia avvenuta, o è necessario che egli possa riprodurre l’universo, ma è evidente che anche in termini di certezza scientifica queste siano un’indagine e una riproduzione che l’uomo non può realizzare, per i suoi evidenti limiti naturali. Dunque la prima obiezione non pone nel nulla la razionalità della risposta data, ma, chiedendo una certezza che è impossibile ottenere anche per la scienza stessa, ne mette solo in luce ciò che già di essa si sapeva in premessa, e cioè che tale risposta non consegna certezze scientifiche, ma solo argomenti razionali non scientifici, non del tutto incontrovertibili. L’obiezione non demolisce la risposta teista, ma solo ci ricorda che tale risposta non vuol esser scientifica, bensì metafisica.
Le altre tre questioni invece non riguardano aspetti scientifici ma più strettamente teologici e filosofici – avendo comunque riguardo del fatto che la filosofia ingloba in sé tutte le scienze, compresa quella naturale, e che dunque è improprio e ha senso solo per comodità espositiva contrapporre scienza e filosofia come due “rami” diversi e separati; sarebbe preferibile parlare dunque di “metafisica” (o di “filosofia prima”) come già fatto supra –. Nello specifico, la seconda obiezione si trova ad essere forse la più scomoda, ma comunque sempre non demolitrice. In effetti chiedersi perché il Creatore abbia creato è una domanda che non può pretendere una risposta definitiva, completa, e la risposta può essere quella più comune: “la ragione ultima di questa creazione non è conoscibile”. Questa risposta sembra non bastare a Davies[8], ma ciò è incomprensibile: è vero che, in ultima istanza, non si può andar oltre la mera risposta “la ragione è inconoscibile” e che quindi la risposta, così com’è, non è completa; ma è anche vero che, se una Mente creatrice esiste, se un Dio esiste, non si può pretendere che, essendo Egli perfetto e illimitato, l’uomo, essere invece limitato, possa ergersi alla Sua perfezione e comprenderLo appieno, comprenderne le ragioni e tutti i perché. Anche questa seconda obiezione – che pone una questione teologica e filosofica (invero rozza) –, in altri termini, non intacca la razionalità della risposta, ma semplicemente, ancora una volta, ci mostra che non si può dare certezza piena in questo campo. In ogni caso, è da evidenziare come la dottrina cattolica non si limiti a un mero arroccamento sulla frase “la ragione è inconoscibile”, ma vada oltre, sottolineando per via razionale come Dio crei l’uomo (e il creato attorno a lui) per amore[9]. Esse cioè effettivamente forniscono un perché (seppur sempre limitato, incompleto, ma comunque razionale) della creazione. In effetti Dio è amore, in quanto, essendo perfetto, egli è anche giusto e, se giusto, è buono e il bene – lo sperimentiamo ogni momento – si sostanzia nell’amore. Ora, essendo Dio amore, Egli non poteva non creare il creato e soprattutto l’uomo, cioè non poteva non condividere con altri (diversi da Se stesso) il proprio amore, ché l’amore è una relazione e una relazione può intercorrere solo tra più persone e non tra una sola persona – ovviamente ciò deve tenere conto (per questo la risposta è pur sempre limitata, incompleta) del fatto che Dio comunque basta a Se stesso: in effetti (e si comprende qui la motivazione razionale dell’esistenza di una Trinità) Dio non necessiterebbe di altri che di Se stesso poiché, essendo più di una persona (Padre, Figlio e Spirito Santo), può amare Se stesso, relazionarsi con Se stesso; tanto più che, se così non fosse, se cioè non si relazionasse con Sé stesso (in questa dinamica trinitaria), Egli, essendo amore, necessiterebbe di relazionarsi con qualcuno e, non avendo altri che Se stesso, allora creerebbe gli uomini per necessità di relazionarsi con essi, perché si troverebbe incompleto: ciò però non sarebbe possibile, perché, se Dio avesse bisogno degli uomini per essere Se stesso e completarsi, non sarebbe indipendente, ma necessiterebbe invece di esseri imperfetti da amare e sarebbe dunque dipendente da essi: ciò ne farebbe un essere limitato, dipendente e quindi imperfetto, cioè non sarebbe Dio. Ciò porta a concludere che Dio crea sì per amore, ma comunque questa creazione sarebbe anche potuta non avvenire, perché Dio ama già se stesso e non necessita di creare altri esseri da amare. Insomma, il perché razionale della creazione c’è, ma non è, nuovamente, un muro di certezza scientifica –.
Per quanto riguarda la terza obiezione (“chi ha progettato Dio, il Progettista?”), essa è filosoficamente un assurdo: se si ammette un Progettista, una Mente creatrice, una Ragione creatrice, e se, come lo stesso Davies riconosce[10], Essa dovrà essere necessariamente fuori del tempo per essere creatrice, si starebbe parlando di un Soggetto totalmente Altro, un soggetto eterno (in quanto esterno rispetto al tempo), quindi non limitato, dunque onnipotente e increato, cioè appunto si starebbe parlando di Dio. Ebbene, è assurdo chiedere chi ha creato Dio, perché, se Dio è realmente Dio, non può essere creato da altri, altrimenti sarebbe limitato, dipendente, non eterno, non onnipotente e, in ultima istanza, semplicemente non sarebbe Dio. Se si ammette un Progettista, non ha senso chiedersi chi lo abbia Progettato, perché nessuno può averLo creato.
Infine la quarta obiezione: l’identità del Progettista. Perché il Progettista deve essere trascendente e non può essere invece un essere naturale (o una civiltà) esistito in un precedente universo che, dotato di tecnologia adeguata, abbia creato il nostro universo?[11] Se anche così fosse, il problema si sposterebbe: se l’essere creatore del nostro mondo è naturale e non divino, Chi o cosa ha creato l’universo di questo essere naturale cui dobbiamo la nostra creazione? Si ritorna al bivio: Dio o caso. Ma ancora, sulla scorta di questa quarta obiezione, ci si potrebbe chiedere: perché la Ragione creatrice deve essere necessariamente una, corrispondendo così alla visione monoteista? Perché Dio e non un collegio di déi? [12] La risposta è abbastanza semplice. Se esistessero tanti déi conviventi fra loro, essi non sarebbero onnipotenti, in quanto una divinità limiterebbe l’altra divinità. Ma, non essendo onnipotenti, non sarebbero divini. Dunque, in conclusione, Dio è uno solo o semplicemente non è. Le caratteristiche di questo Dio chiaramente non sono tutte conoscibili. È possibile conoscerne razionalmente l’esistenza, è possibile conoscerne alcune caratteristiche (il “Dio dei filosofi”), ma razionalmente non si può giungere a conoscerne appieno il cuore.
In ultima analisi, ferma restando l’impossibilità di giungere a una certezza assoluta, si può dire che per via immediata e certa non si può giungere a Dio tramite l’immanente, cioè la scienza non può dirci, nello studio della realtà immanente, che una trascendenza (e quindi eventualmente Dio) esista, ma per via mediata l’immanente ci porta a giungere razionalmente a Lui, pur senza certezze scientifiche in merito.



NOTE



[1] Catechismo, op. cit., n. 31, pag. 29.
[2] Ibidem, n. 32, pag. 29.
[3] V. MATHIEU E A. PIERETTI, Realtà, voce in Enciclopedia filosofica vol. X, op. cit., pag. 9478.
[4] A. PIERETTI, Realtà, voce in Enciclopedia filosofica vol. X, op. cit., pagg. 9456-9457.
[5] Per un’ampia prospettazione delle ipotesi sull’origine dell’universo cfr. P. DAVIES, Una fortuna cosmica. La  vita nell’universo: coincidenza o progetto divino?, Mondadori, 2006.
[6] Avanzato (ma in questa sede appena ampliato nella sua portata esemplificativa) dall’ecclesiastico William Paley e riportato dal citato Davies. Cfr. ibidem, pagg. 244-245.
[7] Ibidem, pagg. e 334-335.
[8] Ibidem, pag. 256.
[9] Catechismo, op. cit., n. 356, pag. 111. Già nella Metafisica di Aristotele, quindi presso un filosofo precristiano, si rinvengono tracce razionali di questo rapporto di amore che intercorre tra il creato e Dio, pur se non vi si parla di creazione per amore. Cfr. ARISTOTELE, Metafisica, Bompiani, 2004, XII, 7, 1072 a 19-1072 b 30, pagg. 561-565.
[10] P. DAVIES, op. cit., pagg. 255-256.
[11] Ibidem, pagg. 334-335.
[12] Ibidem, pag. 334.


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