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ELEZIONI: IL CAOS VIENE DA LONTANO



di Paolo Deotto


Credo che non sia il caso di soffermarsi più di tanto sulla manifestazione di oggi, sabato 13 marzo, dove l’esagitato Di Pietro, il rassegnato Bersani e la stralunata Bonino incitano il popolo “viola” (perché poi viola? Boh!) a difendere la Costituzione, la democrazia eccetera. Chiunque abbia un grammo di buon senso, a prescindere dalle opinioni politiche, non può che consigliare il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) per chi parla di “colpo di Stato”, “provvedimento anticostituzionale” e “attacco alla democrazia” quando un governo vara un decreto legge che serve a garantire una ampia libertà di voto.

Al più bisogna cercare di essere comprensivi con una sinistra che sognava, almeno in Lombardia e in Lazio, di andare alle elezioni da sola: era l’unica maniera che avevano per poter sperare in qualche poltroncina. In Lombardia è andata male, in Lazio è riuscita solo in parte. Ma, al di là della profonda e umana comprensione (e compassione), si varca davvero ogni soglia di decenza e di intelligenza quando si urlacchia per un decreto che, repetita iuvant, non ha leso i diritti di nessuno, ma ha semplicemente cercato di evitare (e ci è riuscito, come dicevamo sopra, solo in parte) che le elezioni fossero davvero una farsa, escludendo il maggior partito politico per mere ragioni di forma (per altro applicate, come vedremo, con due pesi e due misure…). Infine i nostri sinistri amici sono rimasti spiazzati dal fatto che Giorgio Napolitano ha firmato il decreto, e ha anche dato una garbata tirata d’orecchi alla sinistra.

Poveretti, gli è cascato il mondo addosso e adesso sono entrati in fibrillazione cerebrale. Vanno capiti. Chi non ricorda il bellissimo film, di tanti anni fa, “I soliti ignoti”? Una sgangherata banda di ladri studia un piano meticoloso per svaligiare il monte di Pietà passando da un appartamento attiguo, vuoto nel fine settimana. Sennonché sbaglia parete, e anziché abbattere il divisorio tra l’appartamento e gli uffici del Monte, abbatte il divisorio tra il soggiorno e la cucina. Si consolano rubando pasta e ceci, e se ne vanno scornati. Chissà perché, vedendo il “popolo viola”, mi sono tornati alla mente “I soliti ignoti”…

Ma torniamo a noi. In tutta questa vicenda, che ogni giorno di più si complica, anche per l’intrecciarsi di competenze tra giudici ordinari e giudici amministrativi, chiunque può rilevare come la magistratura stia conquistando un potere sempre più ampio, facendo continue invasioni di campo, condizionando o cercando di condizionare l’attività politica. E questo succede sia per chiara ed evidente partigianeria, sia per un’incapacità a discernere il rispetto delle forme dalla sostanza delle cose.

Bisognerà anzitutto ricordare alcun concetti elementari, che sembrano caduti nell’oblio: la sovranità appartiene al popolo, che la esercita attraverso l’elezione dei suoi rappresentanti (deputati e senatori). I magistrati sono impiegati dello Stato il cui compito è applicare la legge. Questi due punti vanno ben ricordati. Inoltre ogni studente al primo anno di Giurisprudenza sa che, qualora una norma venga interpretata in modi difformi, va cercata anzitutto la “ratio” della norma stessa e, qualora sussistano i dubbi interpretativi, interviene il potere legislativo (Parlamento, o Governo nei soli casi di urgenza e necessità) emanando un atto di legge che prende il nome di “interpretazione autentica”. Insomma, il legislatore, che ha creato la norma, interviene in seconda battuta, dicendo: “Ciò che volevo stabilire era questo…”. La “interpretazione autentica” non è un parere, ma è un atto di legge, che come tale obbliga il giudice ad applicare quella norma secondo le indicazioni fornite dal legislatore.

Rammentati questi pochi ma basilari concetti, andiamo ora un po’ indietro nel tempo, agli anni in cui l’Italia andava faticosamente ricostruendosi dopo la tragedia della Seconda Guerra mondiale. La Democrazia Cristiana stravinse le famose elezioni del 18 aprile 1948, e da allora iniziò una lunga stagione di potere democristiano, che sarebbe terminata nel 1993 col killeraggio chiamato “Tangentopoli”. Ben presto la Democrazia Cristiana aveva scordato la sua originaria vocazione, divenendo sempre più schiava del potere che esercitava, per conservare il quale perse sempre di più la propria identità. I comunisti, più lungimiranti, iniziarono, con garbo e discrezione, la conquista di un potere meno appariscente, ma che tutt’oggi condiziona ancora la vita del nostro Paese. Non è un mistero che il Partito Comunista investì soldi ed energie per far studiare i propri giovani più promettenti, con una particolare predilezione per gli studi di Giurisprudenza e di Lettere e Filosofia. E iniziò la sua conquista nel campo culturale e nel più delicato settore dei pubblici poteri, la Giustizia.

Portatore di una non-cultura devastante, il marxismo, ateo e materialista, iniettò in tanti cervelli il relativismo, il vero cancro della nostra epoca. Distrutto il nazismo, restava il comunismo a nutrire la folle utopia di un “uomo nuovo” creatore di sé stesso, capace quindi di mettere Dio in soffitta, tra le cose vecchie. In nome di una falsa “libertà” il relativismo iniziò a corrompere tante menti, né poteva accadere diversamente, perché dal momento in cui l’uomo disconosce l’esistenza di norme che lo trascendono ogni risultato, anche il più folle, è possibile. Nel campo della cultura i risultati sono sotto gli occhi di tutti, con una scuola distrutta, abbattuta dal delirio sessantottino, e da legioni di insegnanti formati da quel delirio. Nel campo della Giustizia ci volle un po’ più di tempo per attuare la corruzione, perché dovevano liberare il campo tanti magistrati anziani, che ancora esercitavano le proprie funzioni con coscienza e serietà. Ma anche qui il relativismo prese piede, e lo vediamo ogni giorno, e ne patiamo gli effetti.

Poiché è nella natura umana il bisogno di una ragione del proprio agire, l’abbandono di Dio generò, inevitabilmente, la creazione di idoli, che tranquillizzassero quei moti spontanei dell’animo, che ormai non si potevano definire più come “senso religioso” fondamentale, perché la non-cultura dominante aveva decretato la morte di Dio. E il relativismo ha così generato degli assolutismi ciechi e feroci: nei Paesi comunisti abbiamo visto per anni il “Partito” elevarsi al livello di Creatore, padrone della vita e della morte, ente superiore e indiscutibile.

Nel nostro Paese, fallito il sogno comunista della conquista del potere, si sono creati altri idoli, e nel campo della Giustizia l’idolo principale è divenuto il formalismo giuridico: il “giusto” è stato soppiantato dal “legittimo”. Se oggi chiediamo a un giurista cosa sia il “diritto naturale” probabilmente è incapace di dare una risposta, perché questo concetto è stato bandito da tempo. L’esistenza di valori non negoziabili, di diritti e doveri in cui nessuna legge può intervenire, perché scolpiti da Dio nel cuore degli uomini, non è più conosciuta. Non a caso si elevano al rango di “diritto” perversioni, stampalerie, capricci che vengono contrabbandati come meritevoli di tutela giuridica in nome di quella “libertà” ormai stravolta.

Imperante il relativismo, tutto è possibile: è possibile, come dicevo, rifugiarsi nella tranquillizzante idolatria delle “forme”, ma è possibile anche divenire partigiani di questa o quell’ideologia, perché non esiste più nulla di indiscutibile; e quindi non esiste più la moralità.

Il relativismo genera anche ottusità mentale, perché, restando nel campo giuridico, la ricerca di una “ratio” della norma comporta pur sempre una scala di valori di riferimento, e di nuovo il cane si morde la coda, perché quei valori sono stati mandati in esilio.

Formalismo e immoralità:questi due atteggiamenti hanno generato il pasticcio delle liste elettorali. Parliamo di immoralità, perché è stato documentato come in Lombardia gli stessi, identici, errori nella raccolta di firme sono stati rilevati solo nella lista Formigoni, e ignorati nella lista Penati. E, signori miei, come vogliamo definire un giudice che usa due pesi e due misure se non immorale?

Formalismo, dagli effetti deleteri come l’immoralità, si è avuto laddove per pure ragioni formali si sono escluse liste di partiti con milioni di elettori alle spalle.

Se è stato possibile creare un tale pasticcio, è stato anche per l’incapacità di capire che la ratio fondamentale delle norme elettorali è la difesa dei diritti degli elettori. Né qui si parla di liste presentate da quattro gatti matti, capaci solo di creare disturbo (ce ne sono ad ogni consultazione elettorale), ma delle liste del maggior partito.

Così, per una fanatica difesa delle “forme”, si è negato a milioni di elettori il diritto di votare per i propri candidati.

E allora, dov’è realmente il tentativo di “golpe”, “l’attentato alla costituzione”? Tra chi emana norme che garantiscano il più ampio esercizio del diritto di voto, o tra chi sbraita contro queste norme? E oltre tutto chi sbraita ha superato anche la soglia del formalismo, per entrare nel vasto settore dell’ignoranza e/o malafede. Infatti il procedimento del governo è stato del tutto legittimo, con relativa approvazione di Napolitano. Ma, come dicevamo sopra, i cervelli minati dal relativismo perdono la moralità, inevitabilmente, e quindi, abbandonato ogni senso del ridicolo, protestato contro chi cerca di impedire un abuso. Roba da pazzi? Sì.

Concludendo, non possiamo non fare una riflessione. Per ritrovare una Società civile dobbiamo fare una lunga e faticosa strada di recupero culturale e morale, né le due cose possono marciare separate. Mettiamoci una mano sulla coscienza e rendiamoci conto di quanto, noi cattolici, siamo stati assenti o distratti, accettando sempre di più che la religione divenisse un nostro fatto personale e intimo, e lasciando che un Paese perdesse la propria identità, cristiana, e la propria tradizione culturale storica, cristiana. Stiamo marciando con incosciente sicurezza verso una feroce dittatura che per imporci di essere tutti liberi e felici ci stringerà sempre di più nella sua morsa. Le vicende elettorali di questi giorni sono a questo proposito esemplari: tutti i valori, tutta la logica, e anche il più elementare buon senso, sono stati rovesciati.

Dobbiamo recuperare il nostro volto e il nostro ruolo nella società. Contrariamente, domani nessuno si lamenti nel constatare che Orwell si sbagliò solo di qualche anno nella sua paurosa profezia.

PS: credo che sia utile leggere due cifre. I nostri magistrati difendono a spada tratta la propria indipendenza, la propria intangibilità, la sacralità della funzione, eccetera. Né pagano mai per gli errori, frequenti, che commettono.

Sono gli impiegati dello Stato in assoluto più privilegiati. Oltre alla mancanza di un orario di lavoro, alla incontrollabilità, alle ferie strepitosamente lunghe (45 giorni l’anno), godono anche di un trattamento economico che tanti altri servitori dello Stato, magari più silenziosi ed esposti rischi elevati, si sognano:

Ordunque, gli uditori (i giovani che hanno superato il concorso ed iniziano la loro carriera in magistratura) hanno uno stipendio di 2.700 euro al mese, gli omologhi austriaci 1800 euro e quelli tedeschi 2400 euro. Un magistrato di Cassazione guadagna 13mila euro, contro i 10mila del presidente della Corte Suprema spagnola. Un magistrato di Corte d'Appello ha uno stipendio lordo di 7mila euro, più o meno quanto il presidente della Corte federale della Germania. Se poi andiamo nelle alte sfere (Corte costituzionale), troviamo cifre attorno a mezzo milione di euro l'anno. È anche il caso di ricordare che, eccezion fatta per la Corte Costituzionale, gli avanzamenti in tutti gli altri gradi della carriera giudiziaria è automatico…


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