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FRANCO ACCAME, LA SAPIENTE RADICE DELL'ANTICONFORMISMO



di Piero Vassallo

Nell'età della trasgressione al potere, l'anticonformismo si rovescia nella figura, tanto silenziosa quanto ribelle, della vita saggia ed equilibrata. Anticonformista nella società dei ribelli a buon mercato è l'impavido equilibrio, che lancia il guanto di sfida al disordine, mentre la tranquillità si avventura nel rischio dei pensieri calmi e sapienti.

La biografia di Franco Accame (1927-2010), infatti, ha rappresentato in modo esemplare quel pericoloso rifiuto della saccenteria imperante nel salotto buono, che una bolsa, consunta retorica definisce chiusura al “nuovo” e insofferenza “piccolo borghese”.

Nella realtà “piccolo borghese” è il tardivo fremito del Sessantotto, alito stanco di una passione capace solamente d'increspare le acque stagnanti nelle periferia – nelle anse - delle cultura un tempo detta rivoluzionaria.

Acque senza vita, sopra le quali galleggia il malumore ultimo delle mafalde, urlante residuo di una contestazione inacidita dall'esercizio del potere circense negli ambulacri della famiglia sgangherata dal laicismo.

Franco Accame, fu invece specchio di quel paradosso di Charles Peguy, che assegna il titolo di eroe moderno al padre di famiglia, vivente figura della pericolosa, odiata tranquillità nell'ordine.

Felicemente condiviso e splendidamente vissuto dalla moglie Dori, l'ordine della famiglia Accame ha emanato per quattro felici decenni il gradevole profumo dell'antica tradizione italiana.

D'altra parte l'esistenza di Franco Accame si può riassumere nell'ossimoro che declina l'avventurosa tranquillità di un resistente alle sirene del caos.

Il suo curriculum di studente in peregrinazione da ingegneria a filosofia, la sua tranquilla, aristocratica rinuncia alla laurea, le sue appassionate ricerche intorno al pensiero magico del Cinquecento e del Seicento, i suoi approfonditi studi sulle scuole indiane e cinesi di metafisica, testimoniano una vita interiore febbrile e inesauribile.

Uomo tranquillamente inquieto, non è mai mancato agli appuntamenti con le occasioni del rischio, occasioni presenti ora nella sede di un partito protetto da fragili cavalli di Frisia, ora nei quadri dirigenti del movimento cattolico fondato da Gianni Baget Bozzo per resistere al sinistrismo promosso dai poteri forti, ora nei raduni della cultura esclusa e sconsigliata, ultimamente nei circoli del centrodestra.

L'alternanza di tranquillità e rischio caratterizza anche la più recente produzione letteraria di Franco Accame, in parte dedicata alla gastronomia metafisica e alle storie delle tipiche trattorie di Liguria, in parte all'affermazione poetica dei princìpi della migliore destra.

Dalle future generazioni, Franco Accame sarà ricordato specialmente come magnifico autore di poesie poeticamente scorrette, quali furono ad esempio le composizioni nostalgiche raccolte nel commovente volume intitolato “Elegia”, opera straordinaria, arricchita dalle puntuali note dello storico Luciano Garibaldi, e pubblicata dal temerario editore Fabio De Fina in Milano. Volume dove è ricordata, senza amarezza e senza ritegni politicamente corretti, la speranza destata e subito delusa dal progetto golpista del principe Junio Valerio Borghese.

Per aver nutrito la fiducia senza fondamento nel progetto insurrezionale concepito dal vecchio, eroico comandante del sommergibile “Barbarigo”, nel 1974, Franco fu costretto a fuggire a Lugano, e a nascondersi nella casa di amici fidati, finché la tempesta giudiziaria non rivelò la schietta natura di bufala. Franco rievocava quell'avventura mescolando i due ingredienti della sua magica scrittura: il timbro umoristico e lo struggente rimpianto dell'intravista avventura.

Chi è stato amico di Franco ricorda anche e specialmente la sua nobile e mai uggiosa malinconia, la sua sofferta estraneità alla deriva crepuscolare di una patria incalzata dalla decomposizione di massa, alla religione del niente assoluto, concepita e promossa nei salotti dal radical chic.

La vita terrena di Franco si è conclusa il 18 aprile del 2010, dopo una sofferta e prolungata agonia. Le sue ultime parole, rivolte al sacerdote che lo ungeva con il sacro olio degli infermi declinarono la serenità del cristiano davanti alla morte.

Gli sarà lieve la terra, come fu lieve e cortese il suo cammino sulle strade dell'esilio e della struggente nostalgia.

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