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IL MARTIRIO DI POPIELUSZKO COMMUOVE IL MEETING DI RIMINI



Il film e un nuovo libro per il martire polacco


di Antonio Gaspari


RIMINI, giovedì, 26 agosto 2010 (ZENIT.org).- Mercoledì 25 agosto al Meeting di Rimini è stato proiettato il film “Popieluszko – non si può uccidere la speranza”. I posti disponibili erano 800 e neanche un posto in piedi era libero.

Il film racconta la vicenda eroica del sacerdote polacco padre Jerzy Popieluszko, ora beato, un autentico testimone della cultura e della fede cristiana, rapito e ucciso dal regime comunista in maniera brutale (cfr. ZENIT, 30 maggio 2010).

Nel corso della conferenza stampa di presentazione, il regista del film, Rafael Wieczynski, ha raccontato che era adolescente nel 1984, quando insieme ad altri 600.000 giovani partecipò ai funerali di Popieluszko.

Già allora si chiese se sarebbe stato capace di vivere come il sacerdote martire.

Quando cadde il Muro di Berlino nel 1989, Wieczynski era convinto che tutto quanto era accaduto con la rivoluzione cristiana che aveva sconfitto il comunismo avrebbe avuto un riverbero nell’arte polacca, soprattutto nel cinema.

Così, nel 2000, quando il Pontefice Giovanni Paolo II invitò i giovani a “prendere il largo”, decise di provare a fare un film su padre Jerzy.

Insieme alla moglie ha svolto ricerche, fatto interviste, raccolto fotografie e filmati, per capire fino a che punto padre Jerzy abbia dato la vita non solo per la libertà della Polonia, ma per la libertà di ogni uomo.

Una della domande che sembrano non trovare ancora risposta è perché il regime comunista, così prepotente e solido, si sia sentito minacciato da un sacerdote come padre Jerzy Popieluszko, che era debole a livello di salute, non era un grande intellettuale ed era semplice e lineare nella sua pratica pastorale.

A questa domanda ha cercato di rispondere Annalia Guglielmi, nota specialista nella conoscenza dei Paesi dell’Est Europa, autrice di diversi volumi storici, collaboratrice della casa editrice Centro Studi Europa Orientale (Cseo), premiata nel 2002 dal Governo polacco e dal Ministero della Cultura con la Croce di Cavaliere al merito per il sostegno dato all’opposizione al totalitarismo e alla diffusione all’estero della cultura indipendente polacca.

Nel libro “Popieluszko – non si può uccidere la speranza” (editore Itacalibri), la Guglielmi ha spiegato che uccidendo padre Jerzy il regime voleva spezzare il legame storico tra la storia, la cultura e la fede cattolica del popolo polacco.

La Guglielmi ha ricordato che il legame polacco-cattolico ha radici profonde nella storia. Sant’Adalberto, il primo patrono della Polonia, fu grande amico e consigliere di Boleslao I il Valoroso, che pose il suo regno sotto l’Obolo di Pietro e morì martire nel 997 andando a portare il Vangelo nella Prussia Orientale.

Il secondo grande patrono della Polonia è San Stanislao, il Vescovo di Cracovia che si oppose ai metodi tirannici del re Boleslao II l’Ardito.

Ha scritto la Guglielmi che “nel corso dei secoli la storia polacca è stata punteggiata da figure di pastori, predicatori, educatori che ne hanno tenuta viva l’identità nazionale e religiosa, anche quando il territorio dello Stato polacco fu diviso tra la Russia ortodossa, la Prussia protestante e l’Austria”.

Con l’organizzazione delle Messe per la Patria, padre Jerzy si è immedesimato con questa tradizione bimillenaria e ha rinnovato e alimentato l’unità tra popolo, cultura e fede cattolica.

Alle Messe per la Patria, infatti, partecipavano artisti, poeti, attori, cantanti e musicisti, che mettevano il loro talento a servizio delle funzioni liturgiche.

In questo modo, la funzione religiosa divenne sempre più anche un avvenimento in cui fede, cultura e tradizione popolare si rinnovavano. La memoria della storia e della cultura cattolica polacca continuava a vivere e riverberava.

Erano sempre più le persone che da varie parti della Polonia andavano alla chiesa di San Stanislao Kostka a Varsavia non solo per sentire le omelie di padre Jerzy , ma anche per ascoltare le musiche di Chopin e Penderecki, le poesie di Norwid e Slowacki, i canti della tradizione popolare e le recite di teatro dei migliori artisti polacchi.

Il binomio tra fede e cultura alimentò la speranza e accese in maniera sempre più cocente il desiderio di libertà nel popolo. Un passo dell’inno nazionale polacco recita appunto “la Polonia non è morta finché noi viviamo”.

Questi erano i motivi per cui il regime comunista si sentiva fortemente minacciato dalle Messe per la Patria organizzate da padre Jerzy, ed è in questo contesto che, secondo la Guglielmi, padre Popieluszko entra nella schiera dei santi e martiri polacchi.

Come Massimiliano Kolbe, che offrì la sua vita ad Auschwitz per salvare una famiglia di ebrei, Popieluszko ha dato un esempio di come si può vincere il male con il bene.

Come tutti i martiri cristiani, padre Jerzy è andato fino in fondo nella sua prova d’amore e ha offerto la propria vita per difendere la verità, la giustizia e la pace.


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