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CHE VUOL DIRE ESSERE CATTOLICO?


di Padre Giovanni Cavalcoli, OP



Si parla spessissimo, da più parti, di “cattolici”. Ma chi sono esattamente i “cattolici”? Molti usano questo termine con disinvoltura, certi – così sembra – di usarlo bene, nel suo giusto senso, vuoi per lodare, vuoi per rifiutare il “cattolicesimo”, vuoi per sentirsi “cattolici”, vuoi per sentirsi contrari o estranei.

Se poi andiamo a vedere che cosa si nasconde dietro a questo termine, che cosa intendono dire coloro che lo usano, ci accorgeremo che il significato non è più univoco e preciso, ma gli si fanno entrare contenuti molto disparati ed addirittura contradditori. Esistono due gruppi di problematiche. C’è quella di sapere se due tesi tra loro contrastanti possono insieme coesistere nel cattolicesimo.

Esempi di questo primo gruppo. C’è chi considera conforme all’essere cattolico sia il sostenere che Dio è immutabile sia chi dice che muta, sia l’affermare l’infallibilità del Papa che il negarla, sia chi afferma la divinità di Cristo sia chi la nega, sia chi afferma l’immortalità dell’anima sia chi la nega, sia chi sostiene Darwin sia chi lo rifiuta, sia chi afferma l’immutabilità del dogma sia chi la nega, sia chi crede nei miracoli sia chi non ci crede, sia chi afferma la verginità della Madonna sia chi la nega, sia chi dice che il diavolo esiste sia chi lo nega, sia chi sostiene che non ci salviamo tutti sia chi lo nega, sia chi afferma una legge naturale sia chi la nega, sia chi dichiara illeciti gli anticoncezionali o i rapporti sessuali extramatrimoniali sia chi lo nega, e così via.

C’è poi la questione di sapere se certe concezioni come per esempio lo spiritismo, la massoneria, il comunismo, Lutero, il buddismo, la reincarnazione, il panteismo o altre idee sono conciliabili col cattolicesimo. Per alcuni sì, per altri no.

Si tratta di questioni liberamente discusse all’interno del cattolicesimo? Per alcuni sì, per altri no. Ma allora noi vorremmo chiedere a costoro: quali sono i punti essenziali ed irrinunciabili del cattolicesimo, rifiutando i quali uno non è più cattolico? Qui c’è una gran confusione, anche se si è grosso modo formato oggi un cattolicesimo modernista filoprotestante che ha una qualche sua coerenza.

Non è difficile, se riflettiamo, sapere che vuol dire essere cattolico.

Innanzitutto ricordiamo il significato etimologico della parola “cattolico”. Essa viene, come è noto, dal greco kath-olikòs, ossia katà òlon = su tutto, ossia “in tutto il mondo”, secondo il comando di Cristo: “Andate in tutto il mondo”, il che significa che il contenuto del cattolicesimo è universale, ovvero il medesimo per tutti gli uomini in tutti i tempi, secondo quanto Cristo ha detto: “Le mie parole non passeranno”.

Penso d’altra parte che nessuno mi contraddirà se io definisco l’essere cattolico in questo modo: ascoltare il Romano Pontefice come “roccia” sulla quale Cristo ha fondato la sua Chiesa (“Tu es Petrus”), interprete in ultima istanza della rivelazione cristiana (“confirma fratres tuos”) e come suprema guida umana della condotta cristiana (“pasce oves meas”), Pastore di quella Chiesa “cattolica” della quale parla il Credo che recitiamo nella Messa, Credo che è esposto nel Catechismo della Chiesa cattolica e che è vissuto esemplarmente dai santi.

Stando così le cose, è evidente che la definizione del termine cattolico non può essere lasciata di diritto all’arbitrio di alcun privato o di alcun raggruppamento religioso all’infuori della Chiesa Cattolica Romana.

Quindi la regola definitiva e certa della fede cattolica non ci è data né dai teologi, né dai filosofi, né dagli esegeti, né dagli storici, nè dai profeti, né dai poeti, né dai carismatici, né dai veggenti, né dai comuni cristiani, per quanto in possesso dello Spirito Santo ed esperti nella Sacra Scrittura. Non ci è data neppure dai Vescovi, dai Cardinali o dalle conferenze episcopali o dal Concilio ecumenico se non cum Petro e sub Petro.

L’essere cattolico risulta così da un insieme preciso ed organico di elementi o fattori dottrinali e morali, un insieme al quale, come dice l’Apocalisse, nulla si può aggiungere e nulla si può togliere (Ap 22,18). Chi fa questo, lo sappia o non lo sappia, cade in quell’errore che si chiama “eresia”. Non è più cattolico ma eretico. Oppure si può dire che resta cattolico laddove resta fedele ai princìpi suddetti, ma è eretico in rapporto al falso in cui cade.

Nessuno dunque è autorizzato a definire che cosa e chi è cattolico in ultima istanza e con certezza, se non il Sommo Pontefice e gli organi di magistero e di governo dei quali egli si serve, in particolare la Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale ha appunto dal Papa l’incarico di aiutarlo nel discernere ciò che è conforme e ciò che è contrario alla dottrina ed al costume cattolici.

Essere cristiano non vuol dire ancora essere cattolico. Anche i protestanti e gli ortodossi sono cristiani, ma non sono cattolici. Ad essi manca, come è noto, il riconoscimento dell’autorità del Successore di Pietro, oltre ad altre cose.

Un difetto del cattolicesimo di oggi è la faciloneria, la presunzione e il criterio soggettivistico e quindi falso in base al quale si definisce l’essere cattolico o ci si considera o si è considerati “cattolici”. Capita invece che chi si preoccupa di determinare con esattezza e spirito di obbedienza alla Chiesa l’identità cattolica viene designato con epiteti offensivi, infamanti o ritenuti tali, come “fondamentalista”, “chiuso”, “talebano”, “bigotto”, “intregrista”, “rigido”, “papista”, “tradizionalista”, “arretrato”, “preconciliare”. Esistono invece in realtà veri cattolici - purtroppo una minoranza - i quali, come per esempio il Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP, con tutto diritto ed anzi con vanto possono considerarsi per esempio “tradizionalisti”.

Come spiegare questo abuso del termine “cattolico”? Perché tanti si considerano o sono considerati “cattolici” pur essendo caduti, magari senza accorgersene, in eresie? Perché tenere al nome “cattolico” quando in realtà non si sottostà o non si vuol sottostare alle regole per esserlo veramente? Come mai certi veri cattolici vengono denigrati, commiserati, disprezzati, emarginati o derisi da altri sedicenti cattolici che in realtà non lo sono? Perché costoro non riconoscono piuttosto di essere in realtà dei semiprotestanti o semiortodossi o semimassoni o semicomunisti e via discorrendo? Perché non abbandonano il nome cattolico per riconoscersi apertamente per quello che essi sono in realtà? A che scopo? Con quali vantaggi?

Oggi si è largamente perso il desiderio di accogliere tutti gli elementi del cattolicesimo rifiutando ciò che con esso è incompatibile. Non ci si cura della coerenza e si ama il sincretismo, non si vuol tener conto dell’autorità legittima preposta a stabilire ciò che è cattolico e ciò che non lo è e si crede di poter stabilire l’esser cattolico per conto proprio, in base ai propri gusti o seguendo il teologo e l’esegeta di successo.

Alcuni credono che sia impossibile sapere quali sono gli elementi essenziali del cattolicesimo, ma che tutto sia opinabile: da qui la convinzione che ognuno è libero di credere quello che preferisce in base a criteri costruiti per conto proprio o seguendo tendenze emergenti e di successo. Si teme di essere in minoranza e si segue la corrente. Oppure si seguono le credenze più comode e più congeniali.

Altri pensano che cattolicesimo o protestantesimo od ortodossia siano modalità parimenti legittime di essere cristiani, tra le quali uno può scegliere liberamente. Si confonde la diversità con la contrarietà, e si prende questa per quella. Si pretende sostituirsi alle autorità nel determinare cosa vuol dire essere cattolico.

Come spiegare questo fenomeno? A chi darne la colpa? Come rimediare? Le autorità hanno lasciato troppo correre soprattutto a partire dall’immediato postconcilio e la situazione si sta sempre più aggravando, con effetti devastanti, sempre più in evidenza, per quanto riguarda la purezza e l’onestà dei costumi morali, civili, religiosi e politici. Quanto dovrà ancora andare avanti questo processo di corruzione prima che ci decidiamo - penso soprattutto alle autorità - a correre ai ripari?


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