IL BLOG DI RISCOSSA CRISTIANA

IL BEATO PIO IX E IL BEATO GIOVANNI XXIII



di P.Giovanni Cavalcoli, OP

            Che fatica mettere assieme questi due Santi! Non per nulla la Chiesa li ha beatificati assieme: è stata una grande lezione che essa ha voluto dare a noi tutti cattolici, conservatori e progressisti, amanti della tradizione e protesi all’avvenire.
            Come mai questa fatica? Perché tra questi due Santi sono avvenuti fatti e rivolgimenti storici di importanza epocale, che ce li fa sentire molto distanti e quasi in contrasto tra di loro, mentre come cattolici sappiamo a priori che due Santi non possono non essere in accordo almeno sui valori essenziali del cattolicesimo.
            Tuttavia la moderna agiografia non teme di rilevare, con rispetto e moderazione, l’esistenza di qualche aspetto discutibile  per non dire qualche difetto anche nei Santi, una cosa che senza offuscare la loro santità, ce li rende più umani e più vicini, abitanti come siamo di questo povero mondo. Ed essi pure lo sono stati.
            Il Lettore comprenderà bene come si potrebbero dire moltissime cose su questo argomento enorme ed estremamente complesso, dove è anche difficile giudicare. Per questo mi limiterò qui ad esporre ed anche con modestia, solo alcune idee.
            Vorrei svolgere sostanzialmente due punti: la questione di un eventuale mutamento del concetto di Chiesa e in particolare nei suoi rapporti con lo Stato da Pio IX a Giovanni XXIII. Colgo l’occasione dalle attuali celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
            Tra Pio IX, Papa del Concilio Vaticano I, del Sillabo e della fine degli Stati della Chiesa da una parte e Giovanni XXIII, il Papa della Pacem in terris e del Concilio Vaticano II, gli avvenimenti che soprattutto ci interessano sono appunto l’avvenimento dell’Unità d’Italia, ed inoltre il Concilio Vaticano I, il dramma del modernismo sotto S.Pio X e i Patti Lateranensi del 1929, con i quali, come sappiamo, lo Stato Italiano e la Chiesa si accordarono nel riconoscere lo Stato della Città del Vaticano, come sede del Sommo Pontefice e lo stesso Pontefice come Capo dello Stato del Vaticano.
            Come è stato rilevato da molti, tra il Sillabo e il documento Dignitatis humanae del Vaticano II, dedicato alla libertà religiosa, pare che ci sia un abisso. Così pure tra il concetto di Chiesa in Pio IX e il concetto di Chiesa che emerge dal Vaticano II. Lo stesso dicasi per quanto riguarda il rapporto Chiesa-Stato nei due Papi. Tuttavia qui dobbiamo chiarire alcune cose.
            Infatti, a questo punto bisogna fare una distinzione relativamente all’autorità del Magistero pontificio e conciliare.  Si deve distinguere un Magistero dottrinale-dogmatico da un Magistero disciplinare-pastorale. Il primo per il cattolico non cade mai in contraddizione con se stesso e con i dati della Tradizione, ma continuamente li ribadisce, magari con altro linguaggio e nel corso della storia li esplicita e ce li fa sempre meglio conoscere ed approfondire: abbiamo qui quello che si chiama “progresso dogmatico”. In ciò la Chiesa, assistita dallo Spirito Santo, è infallibile e ci insegna verità divine immutabili ed eterne, che dominano la storia e l’evoluzione delle civiltà.
            Da questo punto di vista e dentro questi limiti, si può dire che il Vaticano II ci insegna un concetto nuovo di Chiesa, che però non va inteso in contraddizione con quanto la Chiesa aveva insegnato su se stessa e continua ad insegnare.
            Invece nel campo delle direttive pratico-pastorali-disciplinari la Chiesa, degna sempre per il cattolico di grande considerazione e meritevole in linea di massima di fedele obbedienza, può tuttavia in certi casi errare, perché non assistita infallibilmente dallo Spirito Santo.
            Sotto questo punto di vista, ci è permesso con prudenza di rilevare nella condotta di Pio IX una certa mancanza di lungimiranza storica, per la quale egli non si è accorto che erano ormai maturi i tempi per l’Unità d’Italia.
            E così pure non ci è proibito di rilevare con tutto rispetto, insieme ad altri storici cattolici, nella condotta di Giovanni XXIII e nella pastorale dello stesso Concilio, un certo ingenuo ottimismo ed una eccessiva indulgenza nei confronti degli errori del pensiero moderno, che erano stati giustamente condannati dai Papi precedenti da Pio IX a Pio XII, come per esempio il liberalismo, il panteismo, il modernismo.
            Può in questi casi risentire fortemente dei limiti dell’uomo, può quindi essere involontariamente incapace di sollevarsi al di sopra di pregiudizi storici o comunque dei limiti di particolare epoche storiche, per cui agendo di conseguenza, emana direttive pastorali, le quali, per una successiva e più matura riflessione alla luce del vangelo meglio conosciuto, possono rivelarsi superate, inopportune o decisamente sbagliate, per cui vanno abbandonate e sostituite con altre, migliori, adatte ai tempi.
            A proposito quindi della questione del concetto cattolico di Chiesa e in particolare del rapporto Chiesa-Stato, dobbiamo distinguere quella che è la dottrina di fede, parimente sostenuta da Pio IX e Giovanni XXIII in quanto si tratta di dottrina immutabile, dal modo storico col quale i due Santi Pontefici hanno vissuto questi valori, conformemente alle esigenze del loro tempo.
            Pio IX era erede di quella particolare concezione del rapporto Chiesa-Stato che era stata solennemente codificata da Papa Bonifacio VIII. Egli, trovandosi a vivere in un’Europa cattolica, dove quindi i sovrani erano cattolici, potè presentare senza alcuna difficoltà e sotto ogni aspetto la Chiesa come superiore allo Stato e il potere pontificio non solo nel suo aspetto spirituale, ma anche come sovranità sugli altri Stati e su di uno Stato grande e potente, lo Stato della Chiesa, il quale si poneva alla pari delle altre potenze europee, capace di alleanze con esse anche in funzione di belligeranza, dato che disponeva di adeguate forze armate. In forza di ciò la religione era religione dello Stato e il codice civile era largamente riflesso del codice di diritto canonico e delle leggi della Chiesa.
            Viceversa Giovanni XXIII si è trovato a vivere in un’Europa scristianizzata e religiosamente divisa da secoli, tra potenze europee fortemente secolarizzate, un’Europa non più unificata dal cristianesimo, ma da princìpi soltanto umanistici e naturali (i “diritti dell’uomo”), con una realtà ecclesiale priva di potenza statuale politica e militare (certo il Vaticano è ancora uno Stato, ma il suo esercito è evidentemente solo simbolico).
            In queste condizioni il Concilio Vaticano II, conformemente alla pastorale di Papa Giovanni, avrebbe impostato in un modo nuovo, adatto al profondo mutamento storico che era avvenuto, la condotta della Chiesa nei confronti dello Stato. Non più il Papa come sovrano dei sovrani, signore di un grande Stato e un grande esercito, non più il cattolicesimo come religione dello Stato, non più la legge civile come riflesso delle leggi ecclesiastiche, ma un Papa che emerge solamente per il suo prestigio spirituale e la sua autorevolezza morale, una Chiesa che si presenta agli occhi dello Stato e del mondo come promotrice del bene comune, della giustizia e della pace, senza pretendere privilegi nei confronti delle altre Confessioni religiose, ma che si fa forte del diritto alla libertà religiosa, oggi riconosciuta da tutte le Nazioni civili e democratiche.
            Nello stesso tempo al di là di questi profondi mutamenti storici, dobbiamo riconoscere che il concetto di Chiesa insegnatoci da Pio IX è uguale a quello che ci ha insegnato Giovanni XXIII. Dal punto di vista della fede, la Chiesa resta sempre superiore allo Stato, in quanto, mentre questi guida l’uomo verso il bene comune semplicemente umano, la Chiesa guida l’uomo alla vita soprannaturale del regno di Dio.
            Dobbiamo quindi distinguere il rapporto Chiesa-Stato dal punto di vista della fede e il medesimo rapporto dal punto di vista della convivenza civile. Non si tratta affatto, come alcuni credono, di una specie di doppio gioco, di una furbizia o di una mancanza di coerenza con la fede. Si tratta piuttosto di prendere atto di una situazione nella quale la testimonianza cristiana da dare non può che essere una testimonianza al servizio della dignità umana nella vita personale e sociale.
            Per esprimere quello che intendo dire possiamo rifarci all’episodio evangelico narrato in Luca 17, 24-27, dove Gesù, se da una parte si riconosce come Figlio di Dio e quindi al di sopra dei regni della terra, però dall’altra propone a Pietro di pagare la tassa del Tempio, come qualunque altro fedele dell’antico Israele.
            Qui noi comprendiamo il senso della condotta che il Concilio Vaticano II suggerisce alla Chiesa nel suo rapporto con lo Stato. Essa continua a sapere benissimo che Cristo è il Signore dei Signori, tuttavia è Cristo stesso che attraverso la voce del Concilio Vaticano II chiede oggi alla Chiesa questa testimonianza a favore dell’uomo, nella sicurezza che tale testimonianza è la via migliore per ricondurre a Cristo l’uomo scristianizzato e la società civile che ha perduto il senso dei valori trascendenti.
                                                                                             
                                                                                             
           
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