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DON VERZE' INSEGNA AL PAPA COME FARE IL PAPA (Da Ansa) e un BREVE COMMENTO di Paolo Deotto






Don Verzè, se fossi papa vivrei in Africa

No a visite lampo oceaniche, si' a pillola anticoncezionale

fonte: ANSA

ROMA - "Se io fossi papa? Scenderei da solo, senza bardature a star con la gente. Scenderei non da sacri palazzi ma da un appartamento, come un buon parroco".

E' una delle frasi di Don Verzé che, nell'anticipazione di un suo articolo fatta dal Corriere della Sera, confessa che vorrebbe essere eletto "Vescovo dai vescovi - dice - (oggi con i sistemi telematici non è un problema) i vescovi, poi, li farei eleggere dal popolo cristiano". Tra le idee del fondatore del San Raffaele c'é anche quella di eliminare il Cardinalato "e tutte le disparità dal sapore feudalesco". Per Don Verzé, "il Terzo mondo cristiano scavalca il primo, quello europeo, ormai pseudo-cristiano, frantumato da un eccesso di verticalizzazione".

Il cristianesimo "ha ancora il meglio da dare - aggiunge - sempre che nelle banche, nello sport e nelle piazze non prevalga Gheddafi con i suoi berberi islamici". Don Verzé immagina una "Onu della fede cristiana", con sede al Quirinale di Roma da cui dovrebbe partire il grido: "siamo cristiani", per fare in modo che "quegli inconsapevoli dei nostri rappresentanti di Bruxelles" non si oppongano a chiamare "Cristiana l'Europa". Se fosse papa, Don Verzé non farebbe "visite lampo con costose comparse oceaniche", piuttosto si fermerebbe nei 5 continenti per qualche mese e si tratterrebbe soprattutto in Africa, "perché da lì partirà la salvezza di tutto il mondo" dice.

"Non vorrei con me nessun dignitario, né cardinali - prosegue - ma truppe di medici e infermieri e di volontari. Io papa in mezzo a loro in pantaloncini, in testa un Borsalino, sempre sul cuore un gran crocifisso ma non d'oro". Non sgriderebbe i vescovi che si sposano e non proibirebbe la pillola anticoncezionale e del Vaticano ne farebbe "un Oracolo di Delfi per ogni sapere". "Pe qualche tempo l'ho frequentato - afferma - puzza di sodoma e arroganza. Sostituirei le sottane paonazze con professionisti laici e sposati".

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2010/09/03/visualizza_new.html_1787204844.html

UN BREVE COMMENTO

di Paolo Deotto

Senectus ipsa morbus, diceva la saggezza latina, e verrebbe la tentazione di sbrigare così la faccenda, dopo aver letto le affermazioni di un sacerdote cattolico che vuole insegnare al Papa come fare il Papa, alla Chiesa come deve essere la Chiesa, probabilmente in attesa di insegnare a Dio come deve essere Dio.

Ma non si può sbrigar via così la faccenda. Don Verzè, nonostante la bella età, è tutt’altro che svanito. E se si può sorridere su uno Scalfari che, non molto tempo fa, in uno dei suoi deliri domenicali su Repubblica dava un giudizio sul Papa come teologo, qui c’è poco da sorridere. Già, perché Don Verzè è il fondatore di una delle più grandi e pregevoli opere in campo sanitario, l’Ospedale San Raffaele, e la relativa Università, realtà conosciute e apprezzate in tutto il mondo. Don Verzè è un uomo conosciuto, magari molto discusso, ma le cui realizzazioni sono davanti agli occhi di tutti.

Ma Don Verzè ha anche un altro particolare, tutt’altro che secondario, anzi sostanziale: è un sacerdote cattolico. E forse la cosa ormai gli sfugge, insieme alla talare, che gli è sfuggita da tanti anni.

E qui vorrei tornare un attimo indietro, agli anni in cui ero studente universitario. Erano gli anni in cui imperversavano le follie sessantottine e un personaggio che faceva molto “chic” era il “prete operaio”. Rigorosamente “operaio”. Faceva tendenza anche il prete guerrigliero e/o sostenitore della teologia della liberazione, ma si trattava di casi più lontani da casa nostra. Orbene, ricordo che il prof. Orio Giacchi, grande Maestro di Diritto Canonico, e del quale ebbi l’onore di essere allievo, ebbe a dire un giorno una frase di grande saggezza, semplice come di fatto è sempre semplice la saggezza. “Abbiamo bisogno di preti che siano preti”.

Andavo a questi ricordi lontani perché Don Luigi Verzè è un “prete imprenditore” e, sempre più preso dal ruolo, sembra aver scordato tutto il resto. Eppure tanti altri religiosi hanno realizzato grandi opere nel campo sanitario e umanitario, senza per questo mai rinunciare a quella che era la loro identità, la loro ragion d’essere. Potremmo parlare di Padre Pio o di Madre Teresa, ma quanti poi sono i sacerdoti, religiosi o laici, che in silenzio, ai quattro angoli del mondo, portano sollievo alle sofferenze, e lo fanno nel nome del Signore? Moltissimi, e tanti di loro vengono ricordati con due righe frettolose solo quando vengono massacrati perché non hanno rinunciato alla loro vocazione, alla Croce di Cristo.

Don Verzè ha forse voluto epater le bourgeois? Se si tratta di questo ha sbagliato mira, perché attaccare questo Papa, uomo mite e dolce, ma inflessibile custode della Fede, è ormai uno sport diffusissimo. Ed è uno sport che non presenta alcun rischio. Molto più rischioso sarebbe attaccare l’Islam, eretico e violento. Però gli islamici sono cattivelli, quindi con loro si cerca il “dialogo”. E poi, francamente, questi discorsi sul presunto “fasto” della Chiesa sono quantomeno un po’ vecchiotti, così come l’idea di un vescovo eletto dai vescovi, a loro volta eletti dal popolo, magari con votazione via Internet, è alquanto bizzarra, se si vuole essere falsamente cortesi, oppure è una totale fesseria, se si vuole essere chiari.

Parlare di “verticalizzazione” della Chiesa vuol dire aver scordato del tutto il valore della Gerarchia, e aver scordato del tutto il Primato che Gesù Cristo assegnò a Pietro. E tra l’altro Don Verzè sembra essersi scordato di un’altra faccenda: il Papa è il Vicario di Cristo, non è l’amministratore delegato di un’azienda, categoria forse più usuale per un prete-imprenditore.

Ma, appunto, Don Verzè è un prete o un imprenditore? Questo abbiamo il diritto di saperlo, essendo cattolici e desiderando legittimamente che il prete faccia soprattutto e anzitutto il prete.

Comunque tutta la faccenda è molto triste. Povero Don Verzè! Arrivato alla sua veneranda età, noto in tutto il mondo, con grandi realizzazioni che nessuno potrà mai disconoscere, sceglie a un certo punto di gettarsi nel conformismo più greve, e ci fa sentire cantilene così ripetute da essere ormai noiose. Nella Chiesa c’è troppo fasto, i preti devono essere liberi di sposarsi, gli anticoncezionali devono essere di libero uso, i Vescovi devono essere eletti dal popolo. Eccetera. È un tramonto molto triste, questo di Don Verzè: ha accettato la logica di un mondo che ha perso la bussola, sogna una Chiesa trasformata in un misto tra ente di assistenza e soviet. Forse dovrebbe alzare ogni tanto gli occhi dalla sua scrivania, piena senza dubbio di documenti molto importanti, di lettere d’affari, di movimenti di grandi cifre di danaro, e levarli un po’ verso il Cielo. Magari si ricorderebbe perché tanti anni fa ha ricevuto il Sacramento dell’Ordine.

Un’ultima noterella. Don Verzè parla di popolo cristiano Europa cristiana, Terzo Mondo cristiano. Non pronuncia mai la parola “cattolico”. E’ un caso, una distrazione? Chi lo sa!

Ma non voglio certo permettermi io di insegnare a Don Verzè cosa vuol dire essere cattolico. Gli faccio quindi un bel regalo: un articolo scritto da uno dei maggiori teologi viventi. Ha un titolo interessante, “Cosa vuol dire essere cattolico”. Gli basta cliccare qui per leggerlo.

E che il Signore lo aiuti. Preghiamo tutti per Don Verzè.


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