IL BLOG DI RISCOSSA CRISTIANA

LA MAGISTRATURA INDAGA, SUL TRAPASSATO REMOTO













a oltre sessant'anni di distanza, si riapre un'inchiesta sulla morte del bandito Salvatore Giuliano


di Paolo Deotto


una necessaria premessa storica

Oltre sessant’ani fa, a Castelvetrano, in provincia di Trapani, concluse la sua carriera uno dei più feroci banditi italiani, quel Salvatore Giuliano che si era guadagnato il titolo di “Re di Montelepre”, perché dominava incontrastato in quel paese, in provincia di Palermo, nonché su una vasta area circostante, e sulle montagne che costituivano il suo imprendibile rifugio. Quando Giuliano fu ucciso, nella notte tra il 5 e il 6 luglio del 1950, aveva sulle spalle novantaquattro mandati di cattura ed era accusato, direttamente o come capobanda, dell’assassinio di oltre duecento persone, per lo più carabinieri e agenti di polizia. Nei momenti di maggior potenza la sua banda arrivò a contare oltre un centinaio di uomini, che disponevano anche di armi pesanti, e che tennero in scacco per anni le forze dell’ordine.

La banda agì dal 1943 al 1950, coperta anche dalla ferrea legge siciliana dell’omertà. Le campane a morto per Salvatore Giuliano inziarono a suonare nell’agosto 1949, quando il ministro degli Interni, Mario Scelba, visti gli scarsi risultati ottenuti dalle forze di Polizia comandate dall’ispettore generale Ciro Verdiani (nonché le molte ambiguità nei comportamenti di quest’ultimo), decise l’istituzione del Corpo Forze Repressione Banditismo – CFRB – comandato dal colonnello dei carabinieri Ugo Luca.

Il colonnello Luca, uomo di grande esperienza, deciso e spregiudicato, comprese che le grandi operazioni militari non servivano per stanare Giuliano, imprendibile nei suoi rifugi in montagna, e coperto da mille complicità. Non esitò quindi a prendere accordo con la mafia, che aveva molti conti in sospeso con Giuliano e fece a poco a poco il vuoto attorno al bandito. Il discorso con la mafia era chiaro: l’isola ormai pullulava di carabinieri e agenti di polizia, e tutto ciò non poteva che infastidire il sottobosco dell’eterno potere mafioso. Era quindi nell’interesse della mafia eliminare Giuliano. Luca riuscì infine a far passare dalla sua parte anche il fidatissimo luogotenente di Giuliano, Gaspare Pisciotta, facendogli intravvedere la possibilità di salvarsi ed espatriare. Quando Pisciotta chiese un “salvacondotto” firmato dal Ministro Scelba, gliene fabbricarono uno falso in caserma, e il gioco fu fatto.

Poi, la morte di Giuliano fu avvolta da mille misteri. Il primo fu svelato in poche settimane: la versione ufficiale fornita dall’Arma diceva che il bandito era stato ucciso in una sparatoria nel cortile della casa dell’avvocaticchio De Maria, a Castelvetrano. Furono due giornalisti, uno dell’Europeo e l’altro dell’Unità, che misero in luce le troppe incongruenze della versione ufficiale, finché non venne a galla la verità. Era stato Pisciotta a uccidere il suo ex capo, né mai fu chiarito se lo fece su preciso mandato dei carabinieri oppure per vendetta (come sostenne lo stesso Pisciotta), oppure perché ormai temeva che Giuliano, avvertito da qualcuno del suo tradimento, lo uccidesse. Ma lo stesso Pisciotta fece una brutta fine: avvelenato nel carcere dell’Ucciardone, a Palermo, morì il 9 febbraio del 1954. Con la morte di Giuliano e di Pisciotta restarono insoluti molti misteri. La banda Giuliano agì senza dubbio per conto del Partito separatista, diretto da Finocchiaro Aprile, ricoprendo per qualche tempo il grado di “colonnello” dell’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia). Ma poi agì anche per conto di altre forze politiche, in quel drammatico caos che fu il dopoguerra siciliano, tra aspirazioni indipendentiste, avanzata delle sinistre, difesa a oltranza di antichi interessi e reazioni del potere mafioso, che per tradizione non seguiva mai alcuna linea politica, se non quella del proprio interesse.

La banda Giuliano assalì caserme dei carabinieri, ma anche Camere del Lavoro e sedi di Partiti. Era dedita al sequestro di persona e alla rapina. L’azione che fece più scalpore fu la strage di Portella delle Ginestre (1° maggio 1947) quando sulla folla riunita per la Festa del Lavoro venne aperto il fuoco, dalle alture circostanti la piana, con mitragliatrici pesanti. Il bilancio finale fu di 11 morti e oltre settanta feriti. La verità sulla strage, e sui relativi mandanti, la sapevano due uomini, Giuliano e Pisciotta, entrambi opportunamente fatti fuori. E con la morte di Pisciotta si può dire che calò il sipario su uno dei periodi più neri della Storia italiana.

Interviene la Magistratura!

Abbiamo dato una piccola panoramica delle vicende della Banda Giuliano (che peraltro meriterebbero ben più spazio) perché necessaria per valutare quanto oggi leggiamo sul sito dell’Agenzia ADN Kronos: una notizia che non può che lasciare, per dirla con gentilezza, alquanto perplessi. Per la cronaca, la stessa notizia veniva riportata anche dall’ANSA nell’edizione del mattino, ma poi è sparita misteriosamente nelle successive edizioni.

Orbene, apprendiamo che a Palermo il procuratore aggiunto Ingroia ha aperto una inchiesta per determinare le esatte circostanze della morte di Salvatore Giuliano. Sissignori: ci lamentiamo che la nostra Magistratura è lenta, che spesso è sottoproduttiva. Non è vero! Anche dopo sessant’anni la Giustizia si muove.

E qui conviene fare alcune pacate riflessioni.

Ulteriori indagini sulla morte di Giuliano sono state chieste dal giornalista Rai Franco Cuozzo, che sta per dare alle stampe l’ennesimo libro sulla vicenda della Banda Giuliano. E lo stesso Cuozzo, basandosi su alcuni dubbi espressi dal docente di Medicina Legale Alberto Bellocco, pone anche un altro problema: il cadavere mostrato ai giornalisti nel cortile della casa di Castelvetrano era lo stesso che poi fu fotografato nell’obitorio del cimitero della stessa città? Pare infatti che vi siano alcune differenze rilevabili tra le foto scattate nel cortile della casa e quelle scattate nell’obitorio.

Si vorrebbe quindi che nella casa fosse stato posto il cadavere di un sosia (reperito dove? Non ci risulta che un sosia sia sempre così facile da trovare), mentre all’obitorio si sarebbe trovato il cadavere del vero Giuliano, peraltro poi riconosciuto dalla stessa madre. Già questa ipotesi è alquanto strana, perché, a prescindere dal fatto che i sosia non si comprano al mercato, molte erano le persone al corrente dei fatti di quella notte, e stranamente a nessuna di esse sarebbe mai sfuggito un tale segreto. Oltre al capitano Perenze, quella notte a Castelvetrano c’erano i carabinieri Catalano, Renzi e Giuffrida, ben presto raggiunti dal colonnello Ugo Luca. Dopo il cadavere, posto nel cortile, fu visto da molti, e poi prelevato dai necrofori. Consideriamo anche che il viso di Giuliano era ben noto, perché il bandito, vanitoso e megalomane, si era fatto più volte fotografare e anche filmare.

Quindi l’ipotesi della sostituzione del cadavere è quando meno molto ma molto difficile da dimostrare, ma questo non ci interessa più di tanto, perché è normale che l’Autore del libro, Franco Cuozzo, si faccia un po’ di pubblicità, e nulla è più facile che formulare ipotesi su avvenimenti accaduti un congruo numero di anni prima, tale da garantire che i testimoni siano ormai passati a miglior vita.

Nessuno può impedirmi in un domani si scrivere un libro in cui sostengo che Salvatore Giuliano fu ucciso da suo nonno. La rivelazione sarebbe talmente inverosimile da assicurarmi di vendere un buon numero di copie, senza che nessuno sia in grado di smentirmi.

Ma il punto è un altro, ben più delicato: i magistrati, non ci stancheremo mai di ripeterlo, sono pubblici dipendenti (quindi stipendiati coi nostri soldi) il cui compito è amministrare la giustizia. Ci risulta che questa amministrazione debba essere condotta secondo norme di legge. Ma allora, su quale reato si sta indagando?

Tutti i possibili reati legati alla ipotizzata sostituzione di cadavere, dall’occultamento, al vilipendio, al falso in atto pubblico (per le verbalizzazioni fatte dai carabinieri), sono arci prescritti dopo sessant’anni. Aprire un’inchiesta su un reato prescritto è semplicemente assurdo, perché, ammesso che l’inchiesta possa avere uno sbocco processuale, questo si chiuderà immediatamente per trascorsa prescrizione.

Allora potrebbe restare il reato di omicidio, che non si prescrive. Lo stesso Gaspare Pisciotta dichiarò alla Corte d’Assise di Viterbo, durante il processo per la strage di Portella delle Ginestre, di avere ucciso Giuliano. La motivazione che ne diede fu il fatto di essersi reso conto che ormai Giuliano aveva “scaricato” i membri della banda, li aveva ingannati, e si stava preoccupando solo per la sua personale salvezza. Immaginiamo però che Pisciotta abbia detto una menzogna (anche se riesce difficile capirne la ragione). Allora la Procura di Palermo ha aperto una indagine per omicidio, nella persona di Salvatore Giuliano? Ma quali sono le prove attendibili che giustificano, sul piano giuridico, la riapertura di una indagine su un reato già estinto (in questo caso per morte del colpevole, Gaspare Pisciotta)?

E infine, come potranno essere condotte queste indagini, considerando che dopo sessant’anni la quasi totalità dei testimoni è morta? Magari con le amatissime intercettazioni telefoniche?

Insomma, qui assistiamo al caso di una magistratura che lamenta la scarsità di mezzi, che si indigna se si vuol stabilire un periodo di tempo entro il quale celebrare un processo, che non è in grado di assicurare Giustizia al cittadino comune, ma che trova il tempo per dedicarsi alle congetture di un giornalista che ha scritto un libro e ha trovato un ottimo veicolo per farsi pubblicità. E oltretutto trova questo tempo aprendo inchieste che non hanno neppure una base di legittimità, come ci sembra di avere dimostrato.

Non è compito della Magistratura riscrivere la Storia d’Italia. A far questo ci pensano già in tanti, forse anche troppi, con una spiccata predilezione per una metodologia che parte dalla soluzione già scritta in base all’ideologia, per poi piegare i fatti (o inventarne), affinché siano conformi alla soluzione.

Chi ha ucciso Joe Petrosino? E su mandato di chi? E’ proprio vero che l’anarchico Bresci, che uccise Re Umberto, si tolse la vita in carcere? Non c’è puzza di omicidio?

Non abbiamo che fornito due interessanti filoni di inchiesta, ognuno ne faccia ciò che vuole. Ma la magistratura pensi ad applicare la legge. E, nel caso di Salvatore Giuliano, qualche solerte procuratore potrebbe ad esempio fare un giro sul sito www.salvatoregiuliano.org , curato da un nipote del bandito. È un sito dove si fa dell’apologia di reato, presentando il bandito sanguinario e megalomane come una sorta di giustiziere degli oppressi. Il reato è permanente, ossia dura finché non cessa l’attività criminosa.

Lo citiamo solo come esempio, perché la materia penale su cui intervenire, vera e seria, non manca, e ci piacerebbe tanto che i nostri magistrati si occupassero di ciò. Di certo questa ennesima stravaganza non può che confermare la necessità e l’urgenza di una seria riforma dell’amministrazione della Giustizia

Come cittadino e come contribuente, non mi pare davvero una pretesa eccessiva.


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