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I 150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA. CONSIDERAZIONI SULL’ESORTAZIONE DEL CARDINALE BAGNASCO



di Luciano Garibaldi


Decisamente positive e degne di nota le due giornate genovesi del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha voluto personalmente dare inizio alle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia prendendo la parola dinnanzi al monumento ai Mille. Come ho avuto modo di scrivere su «Studi Cattolici», circa il significato e lo svolgimento stesso del processo unificatorio, due linee si fronteggiano, a dispetto e a delusione di chi vorrebbe che l’evento fosse celebrato in piena unità di intenti e in totale condivisione di sentimenti da tutti gli italiani. Da molti mesi, infatti, stanno infuriando le polemiche tra gli esaltatori di Garibaldi, di Vittorio Emanuele II e di Cavour da una parte, e, dall’altra, coloro i quali, al contrario, accusano il terzetto di spietato totalitarismo e di avere fatto massacrare migliaia di onesti oppositori trasformandoli in «briganti». Un «terzo incomodo» può essere individuato nella Lega Nord, che non critica l’unità d’Italia per rendere omaggio ai «briganti», ma rifiuta l’idea stessa che l’Italia del Nord (la «Padania») possa avere qualcosa in comune con quella del Sud (la «Terronia»). Puro folclore di una minoranza cialtrona nell’ambito stesso della Lega.

Purtroppo una lettura condivisa della storia, per noi italiani, continua ad apparire come una chimera. Basti pensare alla lacerante frattura che ci divide da sempre sul capitolo più intenso della storia italiana del Novecento: la Resistenza e la fine del Fascismo. Per fortuna, un’entrata in scena inattesa e davvero importante, effettuata tra l’altro con uno straordinario tempismo, ha posto le basi per una dignitosa e positiva impostazione delle celebrazioni dell’anniversario. Ne è stato protagonista il presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco, che proprio a Genova, di cui è arcivescovo, alla vigilia dell’arrivo di Napolitano, ha pronunciato un discorso davvero memorabile. «L’unità d’Italia», ha detto tra l’altro, «è un bene comune, un tesoro che è nel cuore di tutti. Per questo», ha proseguito rivolto ai suoi ascoltatori, tutti cattolici qualificati, «alle celebrazioni dobbiamo partecipare con tutte le nostre energie e con convinzione, non per conformismo».

Non esitando poi a criticare quanti, per leggerezza e mancato senso della nazione, si mostrano indifferenti verso le istituzioni: «una mancanza grave», l’ha definita Bagnasco, «che prelude alle più varie forme di frattura nel Paese». Che queste parole giungano da uno dei massimi rappresentanti di quella Chiesa che un buon numero dei padri della Patria (a cominciare da Colui del quale sono omonimo, ma non parente) sperava di poter distruggere, è davvero esemplare. Al tempo stesso, Sua Eminenza Bagnasco ha sottolineato l’altissimo ruolo della Chiesa Cattolica nel nostro excursus storico. «L’Italia», ha detto, «deve scoprire ancora una volta che può contare sulla Chiesa, sulla sua missione, sulla sua lealtà». Riferimento, non detto ma evidente, ai grandi Papi come Pio XI (che condannò la follia nazista) e Pio XII (che contribuì grandemente a salvare l’Italia dalla deriva bolscevica).

Queste considerazioni devono aiutarci a riflettere. In Italia, almeno nella sua storia contemporanea, di guerre civili ne ve sono state non una, ma almeno tre: quella degli insorgenti contro i servi di Napoleone, quella dei «briganti» contro i fucilatori piemontesi e quella tra partigiani e fascisti. Per non parlare di Bava Beccaris a Milano, di D’Annunzio a Fiume, e del conflitto fascisti-comunisti tra il 1919 e il 1922. Su nessuna – dico nessuna – delle tre più importanti guerre civili sopra ricordate si è fatta ancora piena luce. Su nessuna si è raggiunta una visione condivisa, nel bene e nel male compiuti da tutte le varie parti in causa. Forse è arrivata l’ora di mettersi al lavoro. Di realizzare l’idea per cui mi batto da anni: dare vita ad un ente di ricerca storica sulle guerre civili in Italia. Progetto che dovrebbe essere condiviso dal Cardinal Bagnasco, se si leggono con attenzione le parole conclusive del suo importante discorso: «L’unica cosa che dobbiamo temere è una cattiva ricerca storica, una propaganda ideologica di qualsiasi segno spacciata per verità storica».

Nel corso delle manifestazioni genovesi, il direttore del «Corriere Mercantile», Mimmo Angeli, ha consegnato al presidente Giorgio Napolitano la prima copia del libro «Genova e i Mille» - ricostruzione storica, giorno per giorno, ora per ora, della formazione dell’impresa garibaldina - scritto da Luciano Garibaldi e Simonetta Garibaldi, e allegato al quotidiano nelle giornate del 5 maggio e seguenti. Il «Corriere Mercantile» è il più antico quotidiano d’Italia dopo la «Gazzetta di Parma». Il libro «Genova e i Mille» è anche distribuito in tutte le librerie di Genova dall’editore De Ferrari


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