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I NODI DELLA TEOLOGIA PROGRESSISTA AL PETTINE DELLA CRITICA DI PAOLO PASQUALUCCI


di Piero Vassallo

Suscitato dalle illusioni della belle époque, il deliro teologico (la definizione è di padre Cornelio Fabro) galoppante insieme con l'incontrollata ammirazione della modernità, fu interrotto dall'enciclica “Pascendi”. Recidivo negli anni (francesi) della mano tesa ai comunisti, avanzò sotto traccia durante il pontificato di Pio XII per conquistare le pagine veneranti (e interessate) del giornalismo laico negli anni del Concilio Vaticano II e della sua coda velenosa.

Fomite del delirio non fu un'idea chiara ma il terzetto degli stati d'animo, che disturbano l'esistenza dell'uomo moderno e, gonfiandosi a dismisura, diventano incubi capaci di alimentare i complessi d'inferiorità del clero.

Il primo stato d'animo contempla l'avversione alla superiore giustizia di Dio e il desiderio di promuovere l'uomo a sommo legislatore.

Il secondo stato d'animo respinge la salvezza divina in quanto lesiva del mito dell'uomo fabbro della propria eterna fortuna.

Il terzo stato d'animo fa apparire la figura del movimento mondano verso quella perfezione universale, che fu croce e delizia dei funamboli del progressismo filosofico, da Hegel a Marx.

Eccoci ad un punto grave”, scriveva al proposito il cardinale Giuseppe Siri, “I mezzi di propaganda generalmente non diffondono idee; iniettano solo e con persistenza stati d’animo. Gli stati d’animo entrano in tutti e non hanno bisogno di cultura per forzare la porta. Ma quando sono entrati fermentano, si riesprimono a poco a poco in idee subcoscienti … Quelle idee sono tali da dare una fisionomia al proprio orientamento mentale e ad indicare ad un uomo dove si debba inquadrare come metodo di vita e criterio di azione. La tecnica dello stato d’animo oggi governa il mondo e francamente non so cosa pensare di un mondo che è arrivato al punto di farsi governare soprattutto dalla tecnica dello stato d’animo” (Cfr.: “Siamo nella civiltà?”, Discorso di fine anno 1957, sta in “Non per noi Signore Lettere pastorali”, Editore Stringa, Genova 1971, vol. I, pag. 241).

Le parole del cardinale Siri definiscono puntualmente la matrice del delirio teologico, che aggredì l'ortodossia cattolica durante e dopo il Concilio Vaticano II, ossia la trasformazione dello stato d'animo in teologia modaiola. E costituiscono l'introduzione ideale al documentato saggio di Paolo Pasqualucci.

Per dimostrare il potere esercitato dagli stati d'animo sulla ragione dei fedeli, infatti, Pasqualucci cita un impressionante affermazione di Johannes Dormann, secondo cui la maggioranza dei Padri conciliari, abbagliati e quasi alienati dal potere degli stati d'animo, non ha colto l'insidia nascosta nelle tesi dei teologi saliti dall'area umbratile dell'eterodossia (già circoscritta e smascherata da Pio XII con l'enciclica Humani generis) alla ribalta del Concilio Vaticano II.

Identificare i protagonisti del vandalismo teologizzante non è difficile, dal momento che il card. Siri, nel magistrale saggio “Getsemani”, cui Pasqualucci fa puntuale riferimento, li ha identificati nel gesuita tedesco Karl Rahner, nel domenicano francese Henri De Lubac e nei loro numerosi e festanti seguaci.

Rispetto al modernismo d'un tempo, la novità introdotta dai novatori al lavoro nel Vaticano II sta nell'abbondante produzione di fumi mimetici e nell'esibizione di pie maschere. Oltre che nell'effusione di piissimi intenti.

Pasqualucci, ad esempio, osserva che “Ci si sforza di scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nella mente degli atei … ritenendo che esse debbano meritare un esame più serio e più profondo” … ma al seguito si sviluppa un ragionamento equivoco capzioso, che suggerisce l'idea di un'umanità ferita dal peccato originale solo di striscio.

L'eresia rimane a mezz'aria, pronta scendere nel pensiero dei più incontinenti ora per ispirare escandescenze teologiche, ora intrepidezza liturgiche, ore fughe le devastanti avanzate nella terra del proibito e nell'immondo di cui, ultimamente, siamo attoniti testimoni.

Pasqualucci cita anche le ricercate improprietà di linguaggio, ad esempio quella che si legge nel 18° paragrafo della Gaudium et Spes (“l'onnipotenza e la misericordia del Salvatore restituiranno all'uomo la salvezza perduta per sua colpa”) e osserva: “La grazia non ci restituisce niente, altrimenti non sarebbe un dono gratuito di Dio … Un dono non restituisce nulla a colui cui si dona, altrimenti non sarebbe nemmeno un dono”.

Nella penombra si delinea la struttura oscillante e ambigua dei documenti conciliari, che dichiarano un'inconcussa fedeltà alla tradizione mentre fanno scivolare fra le righe frammenti che alludono a un'opposta dottrina.

Ora gli argomenti della teologia progressista discendono, per vie oblique e farraginose, dagli stati d'animo dell'uomo moderno, e principalmente dall'avversione preconcetta alla superiore giustizia di Dio. Avversione che si traduce nella messa in ombra del peccato originale e della giustizia di Dio. Pasqualucci ci obbliga a rammentare che l'irenistico silenzio del Vaticano II sui mostruosi delitti del xx secolo (delitti ispirati e istigati da errori adulati dalla nuova teologia) fu una conseguenza dei fumosi sofismi banditi dalla nuova teologia

La conclusione è che è urgente, inderogabilmente necessaria la pubblicazione di un documento del magistero romano finalizzato allo scioglimento dei nodi di ambiguità ben nascosti e sfumati tra le righe del Vaticano II.

Non si chiede la impossibile sconfessione del concilio ma la chiave della sua esatta lettura, cioè la riaffermazione di quei fondamentali princìpi che i redattori delle costituzioni conciliari hanno redatto in una forma talora nebbiosa e sfuggente.

Come ha magistralmente dimostrato mons. Brunero Gherardini, l'ermeneutica della continuità, risolutamente affermata da Benedetto XVI esige una chiara messa punto, una attenta revisione grammaticale delle forme usate dai padri del Vaticano II per esporre i princìpi indeclinabili della fede cattolica.

La spaventosa piaga della pedofilia serpeggiante nel clero, quale risultato della morale lassista discendente dalla nuova teologia, impone il chiarimento.

Paolo Pasqualucci, “L'ambigua cristologia della redenzione universale. Analisi di Gaudium et Spes 22, Ichthys, Rimini 2010, per ordinazioni: rimini@sanpiox.it



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